Il nuovo inviato speciale dell’Onu per il Sahara Occidentale, il tedesco Horst Koehler, è atterrato in Marocco lunedì scorso per una settimana di consultazioni con l’intenzione di «risolvere la questione sahrawi».

Nominato lo scorso agosto dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, il diplomatico ha l’obiettivo di rilanciare il processo di pace tra Rabat e la Rasd (Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi), guidata dal movimento indipendentista del Fronte Polisario, prima della scadenza della missione Minurso prevista per aprile 2018.

Il suo predecessore, l’americano Christopher Ross, si era dimesso dopo otto anni di inutili tentativi, a causa delle continue critiche nei suoi confronti da parte del governo marocchino. Secondo Rabat, infatti, Ross era considerato troppo «parziale» a causa delle accuse relative ai «diritti umani violati ed agli arresti indiscriminati» nelle aree amministrate dal Marocco.

Dialogo definitivamente sospeso tra Rabat e l’Onu dopo la dichiarazione, nel 2016, del precedente segretario generale, Ban Ki Moon, che aveva definito il Sahara Occidentale un «territorio occupato».

Il rappresentante tedesco ha avviato i suoi colloqui con il ministro degli esteri marocchino, Nasser Bourita, per poi spostarsi mercoledì e giovedì nei campi profughi intorno a Tindouf, in Algeria, dove vivono tra i 100 ed i 200mila rifugiati sahrawi, cifra variabile a causa dell’assenza di un censimento ufficiale.

Il suo giro di colloqui proseguirà fino al 25 ottobre con tappe ad Algeri e Nouakchott per poter sentire, come dichiarato dallo stesso diplomatico, «tutte le parti in causa nel conflitto, verificare le reali condizioni dei profughi e comprendere meglio la questione con una visione diretta e personale».

Il Sahara Occidentale, ex colonia spagnola, è un esteso territorio sulla costa atlantica con circa mezzo milione di abitanti, conteso a causa della sua ricchezza di fosfati. Fu annesso dal Marocco nel 1975 e, un anno dopo, il Fronte Polisario (raggruppamento politico socialista dei sahrawi), sostenuto dall’Algeria, proclamò la nascita della Rasd e reclamò l’istituzione di un referendum di autodeterminazione.

La guerra tra Rabat e il Polisario terminò con il cessate il fuoco del 1991, l’invio della missione di pace Onu Minurso e la promessa di celebrare un referendum per sancire la definitiva annessione da parte del Marocco o, cosa quasi scontata, l’indipendenza del popolo sahrawi.

La missione Minurso non è, però, mai riuscita a mediare tra Rabat, che ha offerto una «forma di autonomia per le sue regioni meridionali», e il Fronte Polisario che rivendica l’indipendenza. Lo scorso aprile il Consiglio di Sicurezza ha adottato una risoluzione per la ripresa dei negoziati e prolungato la missione fino al prossimo anno per il rischio di una ripresa del conflitto armato tra le due parti.

Situazione resa ancora più difficile dal rientro del Marocco all’interno dell’Unione Africana e dalla progressiva intransigenza di Rabat, in quest’ultimo anno, nei confronti della Rasd. Ad appena una settimana dal suo rientro nell’organizzazione panafricana (febbraio 2017), ad esempio, il ministro degli esteri marocchino ha pubblicamente dichiarato che «Rabat non riconoscerà mai in nessuna maniera e nessuna sede la Rasd».

Dichiarazioni minacciose volte solo ad inasprire la situazione visto che, a livello di rappresentanza, la Repubblica Democratica possiede un proprio diplomatico nella UA e all’Onu (anche se solo come «osservatore»).

«Noi siamo da sempre favorevoli ad una via pacifica per la soluzione di un conflitto lungo oltre 40 anni – ha affermato Brahim Ghali, segretario generale del Fronte Polisario e presidente della Rasd, a margine dei colloqui con il diplomatico tedesco – Sosteniamo e sosterremo il lavoro di Koehler, anche se le perplessità sono molte a causa della posizione del Marocco, ma Rabat deve sapere che tutte le opzioni restano aperte, anche quella militare, in caso di fallimento diplomatico».

Secondo Ghali, infatti, il mandato di Horst Koehler sarà ostacolato dalla determinazione di Rabat per mantenere lo «status quo» grazie, soprattutto, al sostegno della Francia che ha sempre posto il proprio veto, all’interno del Consiglio di Sicurezza Onu, per qualsiasi risoluzione di condanna «sulle numerose violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione sahrawi».