Bisognerà attendere probabilmente la fine della settimana per conoscere i contenuti della risoluzione Onu che darà il via libera definitivo alla missione europea contro gli scafisti. Una bozza del testo è già stata scritta e avrebbe ottenuto il consenso di tre dei cinque Paesi membri fissi del Consiglio di sicurezza: oltre a Francia e Gran Bretagna, i due europei, anche Stati uniti. Ora il testo, in cui si parla di un «mandato per un’operazione Ue sotto l’ombrello del capitolo 7 della Carta Onu», che prevede anche l’uso della forza e la «possibilità di ispezionare, sequestrare e neutralizzare le barche che sono sospettate di essere utilizzate per il traffico di migranti», è all’esame di Cina e Russia che potrebbe esprimere un parere per l’appunto entro domenica prossima. «E’ una questione che non è semplice, perché come abbiamo capito è legata alla richiesta al Consiglio di sicurezza dell’Onu di fare uso della forza in certe situazione», ha spiegato ieri il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov. Parole dietro le quali si nasconde il timore di ritrovarsi di fronte a una nuova guerra europea in Libia, come accadde nel 2011. «Considerata la nostra esperienza con altre domande al Consiglio di sicurezza – ha infatti voluto precisare Lavrov – esamineremo nel modo più preciso possibile tutte le sfumature» della richiesta «perché non ci sia un doppio senso in quello che può essere dato all’Ue».
Mentre a New York si discutono gli eventuali limiti all’intervento europeo, a Bruxelles prosegue la battaglia sulle quote obbligatorie di profughi che ogni Paese membro dell’Ue dovrebbe accogliere. Nei giorni scorsi Francia, Spagna, Gran Bretagna, Danimarca e numerosi Paesi dell’Est si sono già opposti alla logica di ripartizione proposta dal Commissione europea. No pesanti, che rischiano di mandare definitivamente in frantumi ogni speranza di solidarietà non solo verso chi fugge da guerre e persecuzioni, ma anche tra gli stessi Paesi comunitari. «Tutti devono accettare le quote», ha detto ieri sera il premier Matteo Renzi. «L’Ue per la prima volta ha affermato ce il problema non è solo italiano, i Paesi hanno mandato le davi ma devono accettare anche il principio delle quote. Non è che mandiamo le navi e poi i profughi li lasciamo a Pozzallo».
Prima di Renzi nel pomeriggio aveva parlato il vicepresidente della Commissione Ue Franz Timmermans, e le sue erano state parole piene di ottimismo. «La strategia delle quote non è a rischio», aveva detto. Riferendosi al rifiuto opposto dal presidente francese Francois Hollande. A smorzare gli entusiasmi ci ha pensato però Viktor Orbàn: «Le quote rappresentano un incentivo ai clandestini. la proposta del Commissione è malsana», ha detto il premier di destra ungherese, per il quale ripartire i richiedenti asilo rappresenterebbe «un incentivo ai clandestini». «Invito Orbàn a non fare caricature delle nostre posizioni sull’immigrazione, è stata la replica di Timmermans. «Noi, contrariamente a quello che dice Orbàn chiediamo una politica più austera. E i respingimenti sono parte integrante delle nostra strategia».

Intanto il governo italiano prepara un nuovo decreto sull’accoglienza in cui, oltre a istituire hub dove riunire i richiedenti asilo in attesa di essere smistati nelle strutture, è previsto che un immigrato si vede respingere la richiesta di asilo mente si trova in un Cie e fa ricorso, la detenzione può allungarsi fino a 12 mesi, contro gli attuali 3. Una novità che preoccupa il cartello di associazioni che danno vita al tavolo asilo, che denunciano come in questo modo «il migrante venga punito solo per aver esercitato un suo diritto», come spiega il direttore del Cir Christopher Hein. In realtà la misura sarebbe valida solo per quei soggetti segnalati dal questore come di estrema pericolosità sociale. «In ogni caso – spiega il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato – si tratta di una valutazione che prevede un margine di forte discrezionalità e comporta quindi il rischio di eventuali abusi».