Ora che il decreto è stato controfirmato si può confrontare Quota 100 con le promesse contenute nel «contratto del governo del cambiamento». Il capitolo 17 a pagina 33 recitava roboante: «Stop legge Fornero» mentre la riforma più odiata dai lavoratori rimane quasi tutta, specie per giovani e precari. In esplicito nel testo si prometteva «fin da subito la possibilità di uscire dal lavoro quando la somma dell’età e degli anni di contributi è almeno pari a 100», senza altre condizioni. La soluzione dei 38 anni di contributi invece penalizza fortemente le donne, sfavorite da un tetto così alto a causa dei buchi dovuti ai periodi di cura dei familiari.
Quota 100 è dunque una sorta di finestra triennale – «in via sperimentale per il triennio 2019-2021», è l’incipit del Titolo II del decreto – che permetterà ad un po’ di lavoratori pubblici – i meno colpiti dalla crisi anche se va considerato il decennale blocco contrattuale – e un po’ di lavoratori di grandi aziende del Nord – scampati agli ammortizzatori sociali – di andare in pensione fino a 5 anni prima. Quanta parte dei 355mila potenziali interessati nel 2019 (di cui 130mila statali) sceglierà di lasciare il lavoro è difficile prevederlo: solo le categorie in vera difficoltà per carichi di lavoro (medici di pronto soccorso, infermieri, professori, maestre di asilo) coglieranno la possibilità al volo, altri (dirigenti in primis bloccati dal sacrosanto tetto di 5mila euro l’anno di cumulo con altri redditi da lavoro) valuteranno molto attentamente il taglio implicito per gli anni di mancati contributi (fino al 16 per cento).
Rimane tutta la beffa per i dipendenti pubblici che dovranno prenotarsi 6 mesi prima e avranno solo 30mila euro di Tfs (trattamento di fine servizio) con parte restante tramite mutuo con divisione degli interessi ancora da definire.
Della riforma Fornero rimane il grande mantra: l’adeguamento all’innalzamento dell’aspettativa di vita che viene bloccato (temporaneamente) solo per la pensione anticipata e per i precoci. Dunque per precari e giovani non cambia niente: la prospettiva è ancora andare in pensione a 70 anni con assegno da fame, senza quella pensione di garanzia che oggi non costerebbe niente al governo.
Il contentino del riscatto degli anni di laurea (5mila euro l’anno il costo per chi ha meno di 45 anni) varrà solo per i figli di papà o i ricchi: l’ennesima norma regressiva.