Tenuti «segreti» allo stesso ufficio stampa dell’Inps che quotidianamente comunica gli aggiornamenti su Quota 100, filtrano i primi dati sulle domande respinte.
I numeri aggiornati al 26 marzo sono questi: 34.364 domande accettate ma ben 7.628 respinte, pari al 18,13 per cento. Il tutto con punte molto più elevate di domande respinte al Sud: il 39 per cento in Calabria; il 33,3% in Campania (Napoli esclusa) e il 30,6% in Puglia. Dati che relativizzano molto il «successo Quota 100» propagandato dal governo e da Salvini in particolare e confermano come il superamento della legge Fornero sia tutt’altro che reale per un provvedimento «sperimentale» di 3 anni.

Si tratta infatti di un valore molto più alto rispetto a tutte le altre domande di pensione: vecchiaia, anticipata, reversibilità. E se il raffronto con l’Ape social – l’anticipo pensionistico dei governi Renzi-Gentiloni che aveva paletti improbi – e il suo 70 per cento di domande respinte è lontano, va tenuto conto del fatto che la spinta del governo a far approvare il maggior numero possibile di domande nei primi tempi ha portato a non richiedere il modello Unilav, quello richiesto in ogni domanda di pensione, attestante l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro dipendente. E quindi il livello di domande di Quota 100 respinte potrebbe crescere con i controlli a posteriori e «il recupero degli eventuali ratei indebiti» di chi non si è effettivamente dimesso che avverrà – non a caso per ragioni elettorali – a giugno dopo le Europee.

Per il resto i dati confermano le previsioni. Poche donne – meno del 30 per cento perché penalizzate dai buchi contributivi e dai 38 anni per 12 mesi per 52 settimane richiesti – molti dipendenti pubblici – 38.947 su 115.517 domande aggiornate al 9 aprile, pari al 33,7 per cento – a conferma del fatto che sono una delle poche categorie con continuità contributiva. I dipendenti pubblici sono circa 3,3 milioni contro i circa 17 milioni di dipendenti privati: è chiaro che la loro incidenza fra le domande di Quota 100 assume ancora più peso.

Nell’analisi dell’Inps i settori pubblici da cui i dipendenti «scappano» per andare in pensione sono soprattutto scuola e enti locali, mentre Quota 100 non si applica alle forze armate. La fuga dalla scuola è testimoniata dalla tabella della decorrenza – l’uscita reale – che vede un vero boom a settembre – 22.129 uscite dalla gestione pubblica contro i soli 9.746 del mese di agosto, il primo in cui i dipendenti pubblici possono andare in pensione a causa della finestra di sei mesi – partita all’entrata in vigore del decreto a inizio febbraio – a cui sono sottoposti.

Fra i dipendenti privati invece spiccano i metalmeccanici – circa un terzo delle domande totali – evidentemente provenienti delle grandi aziende del Nord meno colpite dalla crisi dell’ultimo decennio e piene di operai che hanno iniziato a lavorare da molto giovani.

Altro dato molto interessante è quello che riguarda le età di chi fa domanda. Quota 100 permette di uscire con 62 anni ma questa è la «classe di età» con meno richieste – meno di 9mila – mentre oltre il 50 per cento dei richiedenti ha invece più di 65 anni. Il fatto è spiegabile anche con una «valutazione da parte dei pensionandi» sul taglio implicito all’assegno dovuto al minor montante contributivo per l’anticipo di 5 anni dell’uscita dal lavoro.

La divisione territoriale delle domande è invece omogenea: 39.549 al Nord (con meno «pubblici», solo 11.529) e 37.663 al Sud (con più «pubblici»: 16.003) mentre il Centro si ferma a 25.669 con 8.539 «pubblici».

Anche le domande infine si stanno stabilizzando. Si è passati dalle 5.500 domande al giorno dei primi di febbraio alle circa 1.500 al giorno di marzo, sebbene in un trend costante.