Nel giornaliero tourbillon di indiscrezioni e boatos sul contenuto della manovra, un punto pare assodato. Lega e M5s puntano forte sul capitolo «pensioni». Forti del capitolo 17 del contratto di governo dal titolo roboante: «Stop legge Fornero».
Sembra ormai sicura la presenza di Quota 100, formula che prevede il ritorno al sistema delle quote, messo in soffitta proprio dalla ministra del governo Monti nel 2011. Se la prima versione del provvedimento che somma età ad anni di contributi era previsto di lasciare l’asticella anagrafica a 64 anni, pare essere passata l’impuntatura di Matteo Salvini a scendere a quota 62 anni. Un’età più bassa di ben 5 anni rispetto a quella necessaria ad andare in pensione di vecchiaia per uomini e donne dal primo gennaio 2019 con le regole vigenti: 67 anni, record in Europa.
Chiaro che un provvedimento simile solletichi molti prepensionandi e produca consenso nel governo fra questa non piccola fetta di elettorato.
La realtà però rischia di essere più indigesta per buona parte della potenziale platea di lavoratori che con la riforma Fornero si è vista allungare la prospettiva pensionistica di 5 o 6 anni in una sola notte.
Se l’età necessaria scende, il sistema delle Quote alza inevitabilmente il numero di anni di contributi necessari: quota 38 è un miraggio per gran parte delle lavoratrici e dei lavoratori meno tutelati e più colpiti dalla crisi decennale.
Solo poche tipologie di lavoratori – i dipendenti pubblici assunti da giovani e gli operai in aziende che non hanno subito la crisi (quest’ultimo identikit perfetto dell’elettorato leghista del Nord) – hanno una contribuzione continua per così tanti anni.
Il paletto che penalizza donne e lavoratori colpiti dalla crisi è quella del massimo di 2 anni di contributi figurati – quelli che si pagano nei periodi di maternità e di uso degli ammortizzatori sociali – e ridurrà di molto il numero dei beneficiari. Ben al di sotto dei 400mila l’anno citati da Salvini, il doppio di quanti ne vanno in pensione dall’entrata in vigore della riforma Fornero: circa 200 mila l’anno (128mila dipendenti e 78mila autonomi nel 2017).
Lasciando da parte il non trascurabile fatto che l’assegno verrebbe quasi sicuramente calcolato interamente col metodo contributivo (provocando un taglio stimato nel 20 per cento), fra i leghisti il problema è noto. Così da venerdì circolano fantasiose ipotesi di «sanatoria dei contributi non versati», in parallelo con il condono fiscale. Se il termine «sanatoria» risulta una beffa per chi i contributi non ha potuto versarli semplicemente perché licenziato, la norma pare fatta su misura per i professionisti e lavoratori autonomi che spesso hanno semplicemente eluso il versamento dei contributi e ora potrebbero recuperare alla faccia dell’equità, esattamente come gli evasori con la «pace fiscale».
Altra ipotesi uscita dal cappello al cilindro è quella del riscatto degli anni della laurea. Ci avevano già pensato i tecnici renziani nel 2015. Sebbene qui si parli solo di uno sconto sul costo assai salato al passare degli anni, la misura continuerebbe ad essere regressiva. Senza bloccare l’adeguamento all’aspettativa di vita – vera follia della riforma Fornero – sposterebbe poco per precari e giovani che già faranno fatica ad arrivare a 30 anni di contributi. Il riscatto della laurea è poi indipendente dalla carriera lavorativa e dal suo livello retributivo, avvantaggerebbe chi ha o avrà successo nel lavoro e sarebbe un favore ai più abbienti a spese dello Stato, penalizzando chi non ha potuto laurearsi in corso perché lavorava o cercava voti più alti e creerebbe una evidente ingiustizia verso chi ha riscattato la laurea prima del nuovo provvedimento.
Ecco dunque che il quadro di Quota 100 diventa molto meno positivo. Anche perché sarebbe l’unico paragrafo del contratto di governo rispettato. Verrebbero dimenticati altri impegni financo più equi e rilevanti: «Quota 41 di contributi» per i lavoratori precoci, «la separazione tra previdenza e assistenza» storico cavallo di battaglia dei sindacati, la proroga di «opzione donna» per mandare in pensione le lavoratrici con 57-58 anni e 35 anni di contributi.
«Quota 100» a 62 anni manderà in pensione pochi e con l’assegno tagliato
Promesse Previdenziali. Servono 38 anni di contributi: premiati solo dipendenti pubblici e operai senza crisi assunti da giovani. E "sanatoria contributiva" e "riscatto della laurea" avvantaggiano evasori e ricchi

Una vignetta di Biani sui pensionandi
Promesse Previdenziali. Servono 38 anni di contributi: premiati solo dipendenti pubblici e operai senza crisi assunti da giovani. E "sanatoria contributiva" e "riscatto della laurea" avvantaggiano evasori e ricchi
Pubblicato 5 anni faEdizione del 23 settembre 2018
Pubblicato 5 anni faEdizione del 23 settembre 2018