Lo sparo d’inizio sarà lunedì 24 gennaio, alle 15. La partenza della corsa al Colle è stata fissata ieri dal presidente della Camera Fico, che ha informato i presidenti di Regione invitandoli a selezionare i Grandi Elettori che, con senatori e deputati, sceglieranno il successore di Mattarella. Sono 3 per ogni Regione, con l’eccezione della Val d’Aosta che ne conta uno solo. Il presidente della Regione è fisso e si sceglie l’esponente di maggioranza da inserire nel pacchetto, il terzo nome spetta all’opposizione.

NEI PROSSIMI GIORNI andranno risolti un paio di problemi seri, in aggiunta a quello di individuare un presidente senza infilarsi in una guerra che squasserebbe la posticcia maggioranza e potrebbe tenere la situazione in sospeso per decine di votazioni. Scogli diversi ma con identica matrice: il Covid. Il guaio più grosso è che, se i contagi continuassero a galoppare, il 24 gennaio potrebbero esserci decine di parlamentari in quarantena, nelle previsioni più fosche addirittura 100. Significherebbe arrecare comunque una ferita istituzionale profonda ma anche moltiplicare il rischio del vicolo cieco. Perché a scendere, forse anche sensibilmente, sarebbe solo il numero dei votanti non il quorum, che resterebbe identico e dunque molto più difficilmente raggiungibile. Per ovviare al rischio c’è una sola via ma non è chiaro se praticabile o meno: il voto segreto a distanza.

IL SECONDO NODO da sciogliere è la minaccia costituita dagli assembramenti. I Grandi Elettori sono 1009, più giornalisti e addetti ai lavori di ogni sorta. La moltiplicazione dei contagi è quasi garantita. Le misure di precauzione saranno decise nei prossimi giorni, il transatlantico resterà chiuso sino all’ora X, la rarefazione delle votazioni con ingressi contingentati e frequenti sanificazioni è praticamente certa. Potrebbe non bastare. L’opzione che verrà valutata prima che la partita inizi è moltiplicare le urne, in diverse aree di Montecitorio.

QUANTO AL PROBLEMA principale, la scelta del presidente, molto, se non tutto, dipenderà dalla scelta di Berlusconi. Si sa che la sua è rimasta sempre una candidatura in pectore, mai formalizzata. «Per il presidente – sottolinea una dirigente azzurra – non si tratta di decidere se fare o meno un passo indietro ma se fare o no quello in avanti». I dubbi, ad Arcore, hanno cominciato ad affollarsi dopo lo scambio di battute tra Salvini e Letta, col primo che proponeva un incontro dei leader per cercare l’intesa di tutti e il secondo pronto a chiarire che sinché è in campo Berlusconi non c’è intesa possibile né utilità in un incontro. Il leader del Pd ha lanciato così un doppio segnale forte: l’elezione di un presidente solo con i voti della destra, appoggiata dai centristi o dai tanti parlamentari in libera uscita permanente, significherebbe la crisi di governo e un’intesa su Berlusconi è fuori dalla realtà.

PER IL CAVALIERE IL COLPO è duro. Considerava possibile la convergenza del Pd sulla sua candidatura. Contava sui buoni uffici di Gianni Letta con il nipote Enrico e ci ha sperato sino all’ultimo. Quella porta è ora definitivamente blindata e Berlusconi deve decidere se fare comunque il passo decisivo con la fortissima probabilità di mancare il colpo, e per come è fatto l’uomo si tratterebbe per lui di una cocente umiliazione, oppure se imporsi come king maker e “padre della Patria” candidando lui, ufficialmente, un nome sul quale possano convergere tutti.

IN TEORIA QUEL NOME non dovrebbe necessariamente essere Mario Draghi. Però di alternative con simili connotati ce ne sono poche, al Nazareno anzi ne circola una sola, Giuliano Amato. Ma soprattutto scegliere un presidente con le stesse caratteristiche di Draghi, equivarrebbe a porre una sorta di veto personale contro il premier e il segnale sarebbe immensamente destabilizzante. Peraltro neppure un’intesa tra i partiti basterebbe a considerare chiusa la partita. La caratteristica di questo Parlamento, la sua quasi totale ingovernabilità, esce infatti moltiplicata dal disastro del M5S. La decisione dei senatori 5S di sconfessare la linea di Conte, candidatura femminile ufficiale e disponibilità ad appoggiare Draghi, per insistere sulla rielezione di Mattarella e la richiesta di trattare “scortato” dai capigruppo, rivelano quale sia il reale controllo dell’ex premier sulle truppe: molto vicino allo zero assoluto.