Gli eroi di un tempo erano, prima che ciclisti, spazzacamini, garzoni, contadini. Si arrivava al ciclismo per caso o per sfuggire alla propria condizione, ma di questa si seguitava a portare impressa nella faccia la memoria genetica e sociale.

Oggi il gruppo a vederlo dall’alto è variopinto, per via dei colori delle maglie più sgargianti, ma da vicino i corridori hanno facce più o meno tutte uguali. Uguale il sole che li accompagna in corsa, e nelle poche settimane di spiagge invernali che gli vengono concesse, uguale il vento, uguale l’alimentazione.

Quel «mangia solo carne» che Biagio Cavanna volle raccomandare a Coppi come unico trucco per oliare un motore già perfetto suonerebbe ora come un attentato alla carriera.

Fa eccezione, in questa compagnia, Nairo Quintana da Combita, Colombia, che si porta dietro una faccia, più che vecchia, antica. Come antica la motivazione che lo ha spinto a montare in bicicletta, venti km al giorno per andare a scuola, in discesa all’andata, in salita al ritorno.

Quando questo sforzo quotidiano si è tradotto in un mestiere, c’è chi si è preso la briga di andare a misurare la pendenza: 17%, più del Blockhaus lungo le cui rampe oggi è andato a spasso.

L’aria che tirava si era già capita a metà giornata, poco dopo che dalla costa ci si discostasse per puntare la Majella. Quintana aveva messo i suoi a tirare come forsennati.

In quella Ventoso affianca Agnoli, si punta l’indice alla tempia picchiettando e fa il verso con la mano del gas aperto di una moto: questi sono matti, ma dove vanno così in fretta. Risposta: a consegnare un pezzo di Giro al capitano. E infatti all’imbocco della salita è il fido Anacona a rinforzare ancora l’andatura. Metà concorrenza è già fuori gioco prima ancora che comincino le danze. Una moto della polizia al seguito ha accostato, ma non troppo, Kelderman c’è andato a sbatacchiare e ha fatto strike.

Landa, Yates e Thomas ne escono chi peggio chi meglio, ma di podio a Milano se ne riparla un’altra volta. Il resto lo fa Quintana, che attacca con ferocia una, due, tre, quattro volte. Alle prime due Nibali risponde quasi da sbruffone, tirandosi dietro Pinot. Alla terza arriccia il naso. Alla quarta cede, e lo precede sul traguardo anche Dumoulin.

Blockhaus significa fortino, da lassù si tenevano d’occhio i briganti. Lo ha espugnato un indio che si veste di rosa con dedica a Pantani, mentre i battuti giurano vendetta già per la crono di martedì. Sono proprio finite le vacanze.