Cosa può succedere all’Europa e alla Grecia dopo la rottura all’Eurogruppo di sabato? Non c’è una risposta. Possiamo mettere in fila la cornice degli eventi e le potenziali ripercussioni. Nulla di più e nulla di meno. Un atto di onestà intellettuale necessario per non cadere nelle solite litanie.
Infatti, non esiste nella storia economica più o meno recente una esperienza o un avvenimento di questa portata. La Grecia non è l’Argentina, non tanto per la sua dimensione economica, piuttosto per il particolare contesto istituzionale europeo. L’Europa non ha un paradigma di riferimento su cui fondare una analisi comparata. Siamo tutti attori ciechi e, purtroppo, indifesi.
La Grecia non è solo un Paese che “involontariamente” ha aderito all’euro (Romano Prodi, 6 giugno 2015), ma è un Paese che necessita di riforme di struttura enormi, e nessuno confonda riforme di struttura con riforme strutturali che la Troika continua ottusamente a voler imporre. Sarebbe un errore imperdonabile.
La Grecia deve ammodernare la pubblica amministrazione, il sistema di tassazione e la raccolta delle tasse, costruire un meccanismo coerente di lotta alla corruzione e alla elusione-evasione fiscale, trasformare l’industria turistica in una vera industria di sistema, ri-costruire una parte della propria struttura produttiva e strutturare un sistema logistico adeguato per valorizzare il suo ruolo di Paese che si affaccia sul Mediterraneo. Sono tutti interventi che dovevano essere fatti fin dal 2001, ma la classe politica che ha governato non ha utilizzato i margini di deficit dei cosiddetti conti truccati per strutturare una economia europea. Anzi, ha fatto le Olimpiadi. Immaginare che l’attuale governo greco possa in 5 mesi rivoluzionare il paese, dopo che a causa soprattutto delle politiche errate della Troika ha perso il 25% di PIL e maturato una povertà che in qualsiasi altro paese sarebbe insopportabile, è pura disonestà.
Molti opinionisti, anche di sinistra, considerano il recente comportamento delle istituzioni europee come un attentato al governo in carica greco. Forse c’è del vero, ma il gioco giocato e le eventuali ripercussioni travalicano la sconfitta o meno del governo in carica. In realtà è l’assenza di una giusta politica economica europea a consegnarci questa paradossale situazione. C’è un problema di democrazia che non ha precedenti ed è paradossale che i partiti di centro-sinistra abbiano rinunciato a certi valori. P. Krugman (la Repubblica, 29 giugno) giustamente sostiene che: «Da un punto di vista politico, i grandi perdenti di questa dinamica sono stati i partiti di centrosinistra, la cui acquiescenza in fase di rigorosa austerità – e il conseguente abbandono di quei valori per i quali avrebbero presumibilmente dovuto battersi – produce danni ben più gravi di quelli che politiche analoghe mietono nel centrodestra».
Abbiamo letto il progetto di riforma dell’Ue Completing europe’s economic and monetary Union di Juncker, Tusk, Dijsselbloem, Draghi e Schulz (22 giugno 2015). Se fissiamo i punti essenziali di questo progetto di riforma, al netto delle solite e note litanie su prosperità, sviluppo economico e piena occupazione, la finalità è quella di migliorare l’attuale governance europea, mentre i singoli paesi devono gettare le basi di un sostenibile ed efficiente bilancio pubblico. Un passaggio del report sottolinea che le politiche fiscali nazionali sono vitali per stabilizzare gli shock economici e per reagire velocemente alle crisi. In altri termini, l’Ue determina vincoli e limiti, gli stati devono rispondere alla crisi. La futura politica economica europea immagina dai “magnifici cinque” è, per assurdo, persino peggio di quella che stiamo sperimentando oggi. Non sorprende, allora, l’atteggiamento della Troika: il suo ruolo è quello di dettare le modalità del rispetto delle regole del “rigore”, non certo di realizzare una politica economica per una crescita sostenibile. Mai una parola su fisco e bilancio europeo federale come negli Usa.
Alla fine vogliamo fare in modo che la Grecia possa sostenere il proprio debito o desideriamo riavere indietro i soldi del debito pregresso? L’una e l’altra soluzione rispondono a politiche economiche profondamente diverse. Continuando in questo modo gli stati europei non possono rispondere alla crisi, con l’effetto di un impoverimento progressivo e, inevitabilmente, il fallimento del progetto europeo. Come è nato l’euro è stato un errore. Prodi ha ricordato quanto fosse stupido il patto di stabilità e sviluppo e molti dei suoi vincoli. L’Europa e i governi potevano intervenire per correggere i difetti. Come è andata a finire lo sappiamo. Alla stupidità non c’è mai fine, mentre il Parlamento Europeo non dice nulla nonostante rappresenti tutti i cittadini europei.
Ma la durezza dei comportamenti delle istituzioni non fanno i conti con la complessità del sistema economico. Il primo e non banale nodo è legato alle banche greche. Esse sono parte integrante del sistema creditizio europeo. Pensiamo di superarle senza che il sistema creditizio nel suo insieme non abbia conseguenza? Cosa dobbiamo aspettarci dalle banche centrali di altri paesi che hanno come riserva anche quote non banali di euro? Qualcuno gioca con il fuoco.
Ma l’aspetto più pericoloso è un altro. Tutti i Ministri europei pensano che l’attuale situazione possa essere gestita. Sono stati creati nuovi strumenti e con questi credono di contenere un eventuale attacco speculativo. Sono convinti che un Europa più omogenea sia valutata dai mercati finanziari in modo migliore rispetto a una Europa poco omogenea. Se accade qualcosa il QE sarà velocizzato; se manca liquidità si troveranno gli strumenti per alimentarla. In questa logica però la salvezza dell’euro passa dalle convenienze che hanno gli speculatori in questa Europa, e non certo da una politica economica europea. L’Europa non è più protagonista del suo futuro. Esempio di tecnocrazia.