Da domenica sono immersa in Rossana: nelle sue parole ed immagini, nei ricordi di quello che abbiamo vissuto insieme. È un pieno denso, formatosi in un tempo lungo. Non provo a trarne neppure un abbozzo di trama.
Faccio a Rossana Rossanda la promessa che feci a Pietro Ingrao, cinque anni fa, nel salutarlo. Lavorerò per tenere viva la sua opera, di cui è parte essenziale come ha vissuto.

Sul computer ho un file che ho nominato «la mia Rossana». Ma è sbagliato. Rossana non è “mia”, non è “nostra”, qualunque cosa intendiamo con questo: marxista, comunista, del Pci, del manifesto, del femminismo, o di un rapporto privato. Neppure è della storia di Italia o della storia di Europa. Nessuna definizione le si addice; ne ho lette tane, in questi giorni, alcune più felici di altre, ma tutte mi sono apparse riducenti.

Rossana è del mondo, perché nel mondo ha abitato, con la mente, con le passioni, anche con il corpo. Ne ha ascoltato le voci, ne ha sentito e nominato i bisogni e i desideri, ne ha condiviso le vicende, sempre scegliendo una parte, mai appartenendo soltanto o del tutto ad essa.

Lo dico con le sue parole. «Voglio essere ebrea, se l’ebreo è quel che in noi può essere sempre l’altro». Si è pensata e vissuta così. È dall’altra che le è venuta la coscienza di sé donna, che l’ha trasformata profondamente, senza divenire la sua identità prima, tanto meno esclusiva.

Non è stata trascinata dall’onda del femminismo degli anni Settanta, anzi a lungo ha opposto resistenza. «Interessante dicevo, e tornavo alle mie vastissime faccende». Dalle quali non si farà mai distrarre, piuttosto le ha intrecciate, riordinate, nominate altrimenti. Non parlerò perciò solo di Rossana femminista e del resto anche il nostro rapporto non è stato solo questo.

Traggo alcuni frammenti dall’immersione di questi giorni. Primo frammento. Nel 1943, studentessa universitaria, frequenta quotidianamente la Biblioteca di Warburg. «Sprofondavo tra ombra e ombra nel colore del silenzio». Dopo pochi mesi dovette dire «addio alla bellezza che poteva esserci nella solitudine del sapere, capire, vedere». «Perché non bastava capire, occorreva intervenire». Non vi tornò più, ma «ero stata là e là sarei rimasta come se fossi stata marcata per sempre». Con la guerra e la scelta obbligata della Resistenza tutto il mondo le «passò sopra, e da allora non cessò di passare». E il rombo è stato così forte da non farle sentire la voce delle donne; al più la avvertì «come un particolare modo di patire o fuggire».

Secondo frammento. Cosa fu la sinistra del Pci negli anni Sessanta? Rossana se lo chiede in occasione degli 80 anni di Pietro Ingrao. E, come sempre, formula la domanda giusta, più che dare una risposta esaustiva. Cosa sarebbe dovuto diventare il Pci a fronte del rivoluzionamento sociale in atto? Come andare oltre il disegno di Togliatti della “via italiana al socialismo?”. Il problema era, e resta, «come si esprime il soggetto del movimento storico», in quale forma, con quale linguaggio.

Pietro e Rossana hanno avuto questa stessa convinzione, si sono separati, poi ritrovati, nella ricerca pratica della risposta. Nonostante la divisione, drammatica, della radiazione. Pietro ha ammesso molti – forse troppi – anni dopo che quel Sì fu il suo errore più grande. Lo voglio ricordare non per ribadire la divisione. ma perché la radice di quell’errore – divisi o compatti- non è estirpata: fece male allora e continua a farlo.

Terzo frammento. È solo con «gran parte della mia vita alle spalle» che Rossana vede le donne e non distoglierà più lo sguardo. Questo sesso che non è un sesso, lo diviene per lei come parzialità scelta. E le ripropone in modo inedito, quella che felicemente chiama «la sola battuta di ottimismo di Marx: l’umanità si pone soltanto i problemi che può risolvere». E se nella sua radicalità, si chiede, il femminismo fosse non solo il sintomo del farsi stretta della politica come l’abbiamo conosciuta, ma l’embrione di una critica rivoluzionaria della politica, come la classe operaia rivoluzionaria fu la critica dell’economia?

«A questo punto ero e sono rimasta», scrive in Le altre. Non più, o non soltanto, stimolo da parte di altre donne, la critica è diventata sua. E non ha mai smesso di interrogarsi e interrogare noi femministe, in amicizia. Un’amicizia tra donne mutanti, ribelli, carica di parole mai dette prima; così inedita e forte da «sconcertare e scomporre il mondo circostante».
Ti ringrazio Rossana del dono della tua amicizia, a me e a tante, tantissime, donne.