Non sono sole le famiglie che ricorrono contro l’Europa per i danni subiti dai cambiamenti climatici. Sono accompagnate dalla rete Can, Climate Action Network, che conta oltre cento ong impegnate su questioni energetiche. Accanto a loro, ci sono avvocati e scienziati del think tank Climate Analytics, che credono fermamente che l’Ue possa e debba essere più incisiva rispetto agli obiettivi fissati: il 40% di riduzione rispetto alle emissioni del 1990 entro il 2030. I ricorrenti sono rappresentati dal professore di diritto tedesco Gerd Winter, dall’avvocato ambientale di Amburgo Roda Verheyen e dall’avvocato londinese Hugo Leith. La ong Protect the Planet sta finanziando i costi legali del caso per evitare che problemi finanziari possano ostacolare l’azione delle famiglie.

Aderisce convintamente all’iniziativa anche Legambiente, che fa parte del Can: Edoardo Zanchini è il vicepresidente della storica organizzazione ambientalista italiana.

Perché e come avete deciso di sostenere il ricorso delle dieci famiglie?

L’iniziativa è nata in ambito europeo. Noi di Legambiente, all’interno del Can, ci siamo proposti per aiutare la famiglia italiana che si è resa disponibile a partecipare alla causa. Siamo in una fase di tale urgenza che abbiamo bisogno di percorrere ogni strada. La causa è individuale, noi diamo supporto legale nel processo, accompagniamo il percorso che porta alla causa e forniamo supporto politico e di comunicazione. L’Unione Europea non fa abbastanza in materia e nel mondo crescono forme di litigation, contenziosi legali promossi da cittadini contro governi. Ma questa di People’s Climate Case è un’assoluta novità.

Quali sono la particolarità e l’importanza di questa causa?

È una causa europea con diversi cittadini europei che ricorrono su un tema specifico, ovvero che l’Ue non si impegna abbastanza contro il surriscaldamento. In Usa il sistema giuridico si costruisce sulle litigation, basti pensare al metodo class action. Il ricorso delle dieci famiglie è importante perché siamo alle porte dell’approvazione del pacchetto clima-energia, in sostanza è il modo con cui l’Ue risponde alla sfida di Parigi. Ed è interessante perché sottolinea un principio: l’Ue deve garantire il diritto delle persone alla salute, al lavoro e alla sicurezza, che sono messi a rischio dai cambiamenti in corso. L’Ue deve mutare passo se non vuole essere ipocrita o inadeguata.

Quale iter seguirà il ricorso?

Bisogna aspettare un primo riconoscimento da parte della Corte di Giustizia che dovrà, nelle prossime settimane, accettare o respingere il ricorso; da lì, in caso positivo, si aprirà la causa. Noi italiani dovremmo sentirci parte di questo discorso visto che, nel nostro Paese, la curva di emissioni di Co2 non sta più scendendo, fino a tre anni fa vi era, invece, una diminuzione progressiva.

Cosa non sta facendo l’Italia in materia?

Allo stop alle fonti rinnovabili, avvenuto nella passata legislatura, è seguito un aumento della domanda di energia con emissioni di gas. Un passo indietro. La prima cosa che chiederemo al nuovo governo è proprio questo: l’Italia deve far di nuovo crescere le rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica riducendo così i consumi. I danni dei cambiamenti climatici, palesi alla vista che si ha dai campi di Giorgio Elter, producono danni rilevanti: piogge più forti, ondate di calore, vittime, in un territorio fragile come il nostro. L’Italia è, infine, indietro rispetto ad altri Paesi nell’attrezzarsi per un piano di adattamento al clima.

Siete fiduciosi sull’esito della causa?

Vogliamo stabilire un principio. Negli Usa se una class action perde una prima volta apre, comunque, una breccia. Noi ci speriamo, in caso negativo ci riproveremo. I cambiamenti climatici non sono una barzelletta, se l’Europa dice di essere diversa dall’indirizzo politico di Trump, lo dimostri.