Nei giorni del festival abito al terzo piano di un micro palazzo sulla Ancien Rue Grande, via di negozi caratteristici, oggetti provenzali per la casa, cineserie per la spiaggia, teli da mare, espadrilles colorate per tutti i gusti, una fromagerie dall’aria costosa come una gioielleria, farmacie che offrono scontati in bella mostra abbronzanti infallibili. Il passaggio è continuo. Di giorno il cicaleccio umano, il ticchettio delle décolleté femminili, i saluti in tutte le lingue del mondo non lasciano dubbi sul fatto di trovarsi in un luogo, durante il festival almeno, assai internazionale. Di notte spesso si ode il cigolare musicale del camion dell’immondizia. Lasciamo le finestre quasi sempre aperte, necessità d’aria tipica delle case all’ultimo piano.

Dalle imposte accostate, in una sorta di «La finestra sul cortile» acustica, si sente di tutto: litigate furibonde tra coppie turbolente, corse dietro chissà chi, risate, pianti. «Arretez, arretez!» che qui, nemmeno dal tono, si capisce se è l’equivalente di un «fermatelo, sono stata derubata» o «aspettatemi, mi si è sfilata una ballerina». Per rispetto della privacy non mi affaccio restando nel dubbio, concedendomi il lusso di immaginare ciò che voglio.

Una storia dura di rapporti maschili Efterskalv (L’indomani o letteralmente Il giorno che segue), opera prima di Magnus von Horn, classe 1983. Il protagonista John, teenager dagli slavati tratti sfuggenti, ha passato due anni in prigione. Torna a casa da suo padre e suo fratello adolescente. Dopo qualche giorno va a vivere da loro il nonno malato, muto ma cosciente. Quattro uomini, tre generazioni a confronto in una stessa casa nella campagna svedese. John, di cui all’inizio non conosciamo il carattere della colpa appena scontata, rientra a scuola dove è accolto male da tutti, prima dalla docente scolastica, poi dagli studenti in classe e alla mensa. Lentamente, tramite indizi seminati sapientemente, scopriamo che John ha ucciso la sua ragazza, forse per gelosia dopo aver scoperto di essere stato tradito con l’amico Kim.
«Dicono che soffra di sonnambulismo ma io mi ricordo tutto benissimo» confesserà all’unica persona che gli offre la fiducia di un ascolto, Malin, nuova arrivata in zona. L’aggressività tra familiari di genere maschile amplificata da quella della comunità intorno porterà ad un climax niente affatto facile da gestire.

Al termine della proiezione mi chiama mia madrepatria Roma. Mi racconta che mio padre e mio figlio, per la prima volta, sono andati a fare una promenade da soli vicino casa. L’immagine dell’uomo che mi ha generato e del piccolo futuro uomo che ho ospitato nel mio ventre per nove mesi che camminano per la strada mano nella mano, sarà la nostalgia ma mi commuove. E penso speranzosa che, al contrario del gelo scandinavo del film, tra appartenenti dello stesso sesso sia ancora possibile una comunicazione. Voilà.

Fabianasargentini@alice.it