Ci sarà anche Nicola Zingaretti oggi a Reggio Calabria. Lo annuncia Stefano Graziano, commissario del Pd calabrese: «Siamo in piazza al fianco dei sindacati per ribadire la centralità del Mezzogiorno per le politiche di sviluppo del Paese che non rappresentano una priorità dell’agenda del governo a trazione leghista».

Ma una delle parole d’ordine della piazza, il no all’autonomia differenziata, prima o poi farà ballare il Pd almeno quanto la maggioranza gialloverde. Nei palazzi del governo, dopo lo scambio fra 5 stelle e Lega (sì al decreto crescita in cambio del sì grillino all’autonomia), ieri Di Maio ha buttato un secchiello d’acqua sull’esultanza leghista: «L’autonomia al Nord si deve fare, ma deve andare di pari passo con un grande piano per il Sud, altrimenti il Nord correrà al triplo della velocità e il Sud resterà sempre indietro». Il vicepremier grillino prende tempo, ma il suo omologo leghista dice ai quattro venti che sul tema presto porrà l’aut aut.

I dem si preparano dunque a soffiare sulle contraddizioni del governo. «Il Pd del Mezzogiorno si attrezza per fare una battaglia campale», annuncia Graziano. «No ai progetti di autonomia differenziata che metteranno una pietra tombale sulla questione meridionale, calpestando principi fondanti del Paese come solidarietà e sussidiarietà».

Ma le contraddizioni sono anche nel Pd. Anche un dem di rango, il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, ha trattato con la ministra Stefani per l’autonomia. La sua proposta è diversa da quella di Veneto e Lombardia ( tocca 15 materie sulle 23 degli altri due) ed è, giura, «condivisa con le forze sociali, sindacati e imprese, i territori, le università e il Terzo settore, tutti soggetti riuniti nel Patto per il Lavoro», «premia una regione con i conti in ordine che vuole crescere facendo crescere il Paese, non spaccarlo».

Diversi ma uguali? Il Pd che si appresta a combattere contro la Lega è costretto a qualche peripezia linguistica per coprire il suo uomo. Se oggi a Reggio Calabria gli esponenti dem diranno semplicemente «no» all’autonomia differenziata, giovedì scorso Piero Fassino a Agorà (Raitre) l’ha presa più alla larga: «Siamo favorevoli, tanto che il nostro Bonaccini ha presentato una proposta costituzionalmente fondata che non mette in causa il tema della fiscalità e delle risorse», a differenza di Zaia e Fontana. «Ma il parlamento è sovrano. Non prende o lascia un accordo fra il governo e una regionale».

Il prudente ex segretario Ds punta la polemica sulle contestazioni di metodo che danno da fare ai costituzionalisti. Così fa il presidente della Puglia Emiliano: «L’autonomia rafforzata basata su intese dirette tra una Regione e il governo è un pasticcio, suggeriamo di aumentare l’autonomia non attraverso il 116 comma terzo, ma attraverso il 138, cioè il normale meccanismo di cambiamento della Carta che assicurerebbe alle Regioni di partecipare alla redazione del progetto e al parlamento di intervenire con emendamenti». Ma la Lega ormai è convinta che gli accordi raggiunti al tavolo Stefani non dovranno essere emendati dalle camere. Per il Pd la cosa è inaccettabile. Persino impossibile per il costituzionalista Stefano Ceccanti, che rimpiange le riforme mancate di Renzi: «Senza un senato che corresponsabilizzi le autonomie è quasi impossibile che il processo di trattative bilaterali di ogni regione con lo Stato produca esiti razionali». Comunque sia, da oggi il Pd si colloca ufficialmente nel fronte del no. Con buona pace di Bonaccini che presto andrà al voto e dovrà districarsi in qualche modo dal «pasticcio».Magari buttando la croce sui gialloverdi. Ieri sul Foglio già si lamentava: «L’autonomia si è fermata, a me pare che fra Lega e 5 stelle si stia facendo gara per chi resta con il cerino in mano».