Nei giorni scorsi il ministero degli esteri russo ha diffuso un pacchetto di proposte, rivolto al blocco euro-occidentale, sul futuro assetto dell’Ucraina. La necessità di passare a una forma federale di stato ne è uno dei pilastri. Molti, non solo in Russia, sono convinti che questa sia la formula, forse l’unica, capace di tenere insieme una nazione spezzata. Mosca ha toccato anche il tema della lingua.

«Accanto all’ucraino, il russo dovrà avere il rango di secondo idioma ufficiale», si precisava nel documento. È stato rigettato dagli occidentali, ma è chiaro che al netto della forma che prenderà la trattativa, ammesso che parta, la pacificazione dell’Ucraina passa anche dagli idiomi, argomento da sempre molto sensibile. Lo si è visto quando il 23 febbraio il parlamento di Kiev, dopo la fuga di Yanukovich, ha azzerato la legge varata nel 2012 dallo stesso Yanukovich che eleva il russo a lingua ufficiale nelle regioni dove almeno il 10% della popolazione lo parla.

Quell’atto ha contribuito al precipitare la situazione. Mosca l’ha sfruttato per rilanciare la sua tesi: il governo della Majdan discrimina, dunque dobbiamo difendere i nostri concittadini. Pochi giorni dopo Putin – è lecito pensare che l’avrebbe fatto lo stesso – ha fatto scattare l’operazione Crimea. A nulla è servita la decisione del presidente del parlamento e capo provvisorio dello stato, Turchynov, di non firmare la misura, lasciando in vita l’attuale legge e istituendo una commissione di esperti, anche su consiglio dell’Ue, incaricata di elaborarne una nuova. Al di là delle recenti cronache il tema della lingua, in Ucraina, s’insinua da sempre nelle fenditure che attraversano cultura e territorio dell’ex repubblica sovietica, da quanto è diventata indipendente. Correva l’anno 1991.

Allora la leadership di Kiev vide nella lingua uno strumento con cui rafforzare l’identità del nuovo stato. Si oppose al bilinguismo e fece dell’ucraino, parlato dai due terzi della popolazione secondo il censimento del 2001, l’ultimo effettuato, la lingua ufficiale. Postura, questa, che derivava da ragioni storiche e politiche. Si trattava di marcare la rottura con l’esperienza sovietica, quando il russo era stata la lingua dominante. Emerse il timore che, riconoscendo al russo pari dignità, la lingua ucraina e l’identità nazionale potessero lasciare il fianco scoperto all’influenza russa.

Questa è la tesi che alberga nel campo influenzato dal pensiero nazionale-nazionalista, dal partito di Tymoshenko (russofona di nascita, ha imparato l’ucraino in età adulta) alle destre radicali. Questa lettura è stata contrastata dalle forze politiche più sensibili al rapporto stretto con Mosca. Il loro ragionamento, almeno a livello pubblico, è che è giusto che ognuno usi la lingua che pratica nella quotidianità. La battaglia, negli anni seguenti, s’è srotolata lungo questi due binari, innescando periodicamente scontri politici. Ma la lingua è stata anche usata strumentalmente, a scopi elettorali. Yanukovich approvò la legge del 2012 non perché volesse potenziare i diritti delle minoranze linguistiche. Piuttosto, intendeva mettere benzina nella macchina elettorale, visto che il provvedimento fu varato in agosto e in ottobre si tennero le politiche.

Tutta questa bagarre politica sulla lingua, tuttavia, stona con il contesto di ogni giorno. Gli ucraini comprendono perfettamente il russo, che è più diffuso rispetto al peso demografico della componente russa (circa il 20%) e si spalma nelle regioni centrali, orientali e meridionali del paese. I russi, dal canto loro, capiscono senza problemi l’ucraino, che fu sdoganato nell’800 dal letterato Taras Shevchenko nel contesto del processo di formazione della coscienza nazionale ucraina e trova nella regione di Poltava, nel versante centro-orientale del paese, il suo polo più purista.

In mezzo, tra le due lingue, c’è poi una sorta di idioma franco, il surzhyk. Ha diverse gradazioni, a seconda dei territori. Lo mastica chi non conosce alla perfezione né il russo né l’ucraino. Sebbene si stia semplificando, è la lingua degli strati meno istruiti della popolazione. Ma nel complesso la gente salta senza problemi da un idioma all’altro. Il bilinguismo è radicato nel vissuto di tutti i giorni. La lingua, tra le persone, favorisce relazioni e commerci. Tra i politici solo incomprensioni. Uno dei tanti paradossi dell’Ucraina.