Ha un’aria imperscrutabile Sofia Coppola nella mattina romana, educazione e bon ton perfetto – ma il glamour fa parte da sempre del suo personaggio, e a dire il vero guardando la giovanissima nipote Già, a Venezia col suo esordio Palo Alto, è una caratteristica di famiglia. Ascolta l’interprete tradurre, risponde con gentilezza anche quando, è evidente, la domanda le sembra fuori luogo. Ma il rito delle «conferenze stampa» fa parte della promozione, passaggio obbligato nella vita di un regista e di un film.
Bling Ring, apertura del Certain Regard 2013, esce in Italia la prossima settimana. La storia, lo sappiamo, si ispira a un fatto di cronaca riportato da un articolo su Vanity Fair  di Nancy Jo Sales (Bling Ring, il libro dell’autrice è pubblicato da Sperling&Kupfer). Un gruppo di ragazzini che, ossessionati dalle celebrities, ha svuotato le case dei loro idoli rubando almeno tre milioni di dollati in vestiti, gioielli, e quant’altro, per esibire trofei e brivido dell’esperienza in tempo reale sui social network. Come resistere a mostrarsi tra le scarpe di Paris Hilton, nel lusso di Orlando Bloom, tra i segreti di Rachel Bilson? I ragazzi entravano senza forzare le serrature, seguendo l’agenda dei loro idoli/vittime su internet, potenza del fascino perversamente pericoloso di un paio di Louboutin
Sembra una trama perfetta per la cineasta che nei suoi film ha sempre prediletto universi adolescenti. Eppure non è andata così.
Racconta Sofia: «Mi aveva colpita soprattutto il lato ossessivo delle loro azioni. Quei ragazzini erano ossessionati dalle celebrities, e non sono gli unici. È un fenomeno sempre più diffuso nella nostra cultura, con risultati sempre più estremi».
«A Los Angeles, viene spesso da chiedersi dove sono finiti gli adulti. C’è un’inconcienza diffusa. Era da tempo che avevo voglia di avventurarmi nella vita degli adolescenti dei quartieri ’bene’ di Hollywood. Per me rapprensentano un universo parallelo». Aggiuge: «Con questo non voglio generalizzare: ci sono genitori molto presenti, che si occupano dei figli e li sostengono come sono stati i miei».
Bling Ring non è infatti un film «moralista«, non da giudizi né cerca di trovare spiegazione. Quel mondo Sofia, che oggi ha quarantadue anni, lo conosce bene, è stata abituata a muoversi sui set, come nel parco giochi sin da ragazzina (la ricordiamo bambina in Il Padrino), e da adolescente frequentava la maison Chanel. Staigiare, d’accordo, con l’incarico di portare i caffé e di fare le fotocopie, l’esperienza le ha permesso però di imparare, e soprattutto di vezzeggiare il suo lato fashion (ma non victim, ci tine a puntualizzare). Tanto che poi crea una borsa per Louis Vuitton, gira spot per Dior e progetta i costumi dei suoi film.
Con un sorriso racconta di avere pensato a se stessa a quell’età, alle insicurezze, al bisogno di «fare gruppo». «L’adolescenza con le sue crisi e i suoi scoppi di rabbia, è un soggetto che ricorre nella narrazione letteraria o cinematografica. Ma in questo caso più che l’adolescenza, il centro del film è l’ansia di esibirsi che i ragazzi condividono, che è un sentimento comune in America e nel mondo».
«Ho incontrato i ’veri’ protagonisti della vicenda per scrivere la sceneggiatura, erano convinti di non avere fatto nulla di male. Sono entrati nelle case perché le chiavi erano davvero nascoste sotto allo zerbino, e non c’era nessun allarme … Anche i loro idoli amano rappresentarsi, no? E quelle case erano come dei castelli inespugnabili. I ragazzi cercavano il lusso ma soprattutto volevano essere riconosciuti, volevano essere famosi. Questa determinazione che ha anche qualcosa di affascinante che mi spaventa. Per me  Bling Ring è una sorta di romanzo di formazione ma in forma di avvertimento. Paris Hilton, che interpreta se stessa nel film, e incontra i ragazzini in discoteca con addosso i suoi vestiti, a sua volta come Lindsay Lohan, è stata condannata per furto. Tutto si tiene».
Con la playlist di M.I.A. (Bad Girls), Azealia Banks (212), Rick Ross feat Lil Wayne (9 Piece) seguiamo gli scatenati ragazzi, quasi tutte fanciulle più l’immancabile amico un po’ gay (che però, almeno all’inizio, non sa di esserlo) trasformarsi in icone hypster, quelli che tutti vogliono ai party, per cui non esistono barriere nei locali più esclusivi, che gli altri anonimi guardano con invidiosa ammirazione. Nelle loro stanzette, mondi a parte tra adulti che non si accorgono di nulla, o come la più determinata del gruppo, con madri new age anche loro divorate dalla fama (mancata), nascondono i preziosi.
Non siamo nel giardino delle Vergini Suicide, il primo film della regista, e nemmeno nella Versailles della sua Maria Antonietta, lungo cioè quel confine delicato e insieme ineluttabile del passaggio tra l’adolescenza e qualcos’altro. Per le fragili ragazze nate dalla penna di Jeffrey Eugenides l’idea era così insopportabile da fermarsi prima. Per la sua imperatrice era una corsa folle con le Converse sotto al’abito di corte, e per la ragazzina di Somewhere – ma come dimenticare Lost in Traslation? – l’appuntamento amoroso col padre. «Se penso a quando ho girato Virgin Suicides, oggi è un’altra epoca. Quelle ragazze erano innoccenti, adesso viviamo nei social network, sono molto curiosa di sapere come andrà a finire. Anche io ho due figlie, e mi piacerebbe sapere in che mondo saremo quando saranno più grandi. L’esperienza dei ragazzi ’Bling Ring’ aveva per me qualcosa di fantascientifico».