Una corona di fiori in memoria della morte del patriarcato. Lumini accesi e sulla lapide «nato in tempi antichi, trovato morto il prima possibile», è il Funeral of Patriarchy dell’artista portoghese Wasted Rita fra gli ospiti dell’Outdoor Festival in corso a Roma fino al 12 maggio negli spazi del Mattatoio Testaccio. Il suo lavoro è basato su parole, frasi, testi scritti su poster, ironia e sarcasmo i tratti distintivi con cui affronta temi legati alla sessualità e all’intimità.
Scherza nello slogan in cui si rivolge al defunto con le parole «dolce patriarcato» (i testi sono in inglese) tutt’intorno, nella sala da lei allestita, anche la scritta «le donne sarebbero felici se gli uomini provassero a colpirle» o ancora «dammi, dammi, dammi molestie in strada dopo mezzanotte». Stereotipi e comportamenti di comune sopraffazione maschile, spesso radicati e difficili da estirpare. Sulle pareti anche alcuni ritratti fra cui Weinstein e Trump. Sessismo, maschilismo tossico, e donne costrette a sopportarli, sono al centro di quest’opera di Wasted Rita, nata a Porto nell’88 e che vive a Lisbona dove lavora come graphic designer e illustratrice.

Uno stile asciutto che mette al centro la parola, inchiostro nero su carta, poche righe spesso dure, graffianti e arrabbiate, che strappano una risata amara. I suoi lavori sono esposti in tutto il mondo. Nel 2015 ha partecipato a Dismaland, l’installazione artistica temporanea ideata e diretta da Banksy in un lido in disuso in Inghilterra, una sorta di parco divertimenti anti-Disneyland. A Lisbona ha appena terminato di allestire un’installazione al Museo Maat, e nelle prossime settimane lavorerà alla mostra per la biennale di Macao. In occasione di Outdoor Festival, manifestazione dedicata alla cultura metropolitana, a Wasted Rita abbiamo rivolto alcune domande. I suoi interventi sono esposti nel padiglione arte curato da Antonella di Lullo e Christian Omodeo.

Cosa significa per lei il patriarcato e che ruolo ha ancora oggi nella nostra società?
L’installazione simula un funerale in alcune sue rappresentazioni. Il patriarcato è un sistema in cui gli uomini sono superiori e hanno più potere delle donne. Un ordine naturalmente stabilito e accettato, come se fosse impresso su ogni individuo fin dalla nascita, un’eredità sociale ben radicata in noi. L’opera è la celebrazione della morte di cose come: secoli e secoli di dominio maschile, misoginia, doppio standard, differenze salariali, vergogna della sessualità, del corpo, sessismo, molestie, mascolinità tossica, privilegi, omofobia, transfobia, e ogni altro segno della cultura maschile intesa come sopraffazione. Il patriarcato non è un soggetto, ma un sistema che funziona, non è un ruolo, ma un modo di pensare di cui la società è impregnata, che smuove e logora, facendo sentire le donne inferiori e insicure, facendo-ci sentire di dover stare zitte, mentre alla fine si sente di voler cambiare per il meglio.

I suoi lavori trattano spesso di sessualità e intimità, sono per lei temi urgenti? 
È un’urgenza parlare di ciò che si vuole nel proprio lavoro, senza vergogna. Mi occupo e trattoi temi che voglio, quando voglio, perché sento che ne ho bisogno, mi sono necessari. Quello che faccio è prevalentemente un’arte basata sui testi. Il mio processo creativo è fatto di molto pensiero, osservazione, lettura, scrittura, e di interesse attivo per tutto ciò che accade nel mondo. Tutto mescolato ad un sarcastico senso dell’umorismo. Poi inserisco inchiostro e carta, neon, o tela, ceramica o oggetti tridimensionali. Sono un’artista e illustratrice a cui piace pensare, scrivere, disegnare, e gettare piccole gemme di saggezza, e invettive poetiche e angosciate sulla vita e il comportamento umano. Non sono una street artist, sono rappresentata dalla Underdogs che ne segue molti, per questo spesso vengo associata a quel mondo. Io faccio arte pubblica, a volte opero in spazi aperti, per strada, con poster incollati e dipinti direttamente su muro e gesso, ma lavoro soprattutto con le gallerie. Penso che un artista plastico possa essere politico quando agisce per i musei, così come uno street artist possa non esserlo pur realizzando «pezzi» in strada.

Quali sono i suoi maestri?
Jenny Holzer, Barbara Kruger, Kathleen Hanna, Warsan Shire and Roxane Gay. Amo, e ve ne sono profondamente grata, Caravaggio, Michelangelo e tutti gli altri grandi maestri che ci avete donato.

Perché Wasted Rita?
È un riferimento sarcastico alla persona sottomessa, timida, insicura, paurosa che sono stata educata e abituata a essere. E un promemoria quotidiano a lasciarmi esistere di più.