Incontro Raffaella Carrà nel suo camerino, sabato è una giornata durissima; mettere a registro la trasmissione di Domenica In deve essere una gran fatica, La ragione dell’incontro è intuitiva: Bisider, Lucchini e, soprattutto, l’operaio Varianti Mario. Lo scontro tra i sindacati metalmeccanici bresciani Fìom e Firn e il presidente della Confìndustrìa è inopinatamente esploso in una trasmissione televisiva «leggera».

Raffaella Carrà è gentilissima, e pronta a spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto giusto invitare l’operaio Varianti.

Comincerei col dire «Grazie Raffaella», come cittadino e come utente della Rai Tv. Il fatto che una trasmissione di intrattenimento e che, forse per errore, non mi appassiona, abbia portato a milioni di telespettatori un problema della condizione operaia lo considero positivo, e tutto il contrario della politica spettacolo: la gente deve vedere e sapere come stanno le cose, anche nelle fabbriche.
Quando dico che Domenica in è una trasmissione popolare dico questo, dico che ci debbono essere anche i fatti e le persone della realtà. Se tutto questo fa nascere polemiche, è per la forza stessa delle cose e non perché qualcuno abbia pensato che la polemica avrebbe accresciuto il numero dei telespettatori. In linguaggio popolare, direi che questa polemica è stata il destino che l’ha voluta. Abbiamo intervistato il presidente della Confindustria Luigi Lucchini senza neppure sapere che Varianti esistesse. E ne è uscito fuori come un grosso personaggio. Un protagonista di quella rinascita dell’industria italiana che consente a tutti noi di vivere meglio. Piero Ottone gli ha fatto molte domande, anche sul suo carattere e sulla sua scarsa propensione a incontrarsi con gli operai. In ogni caso, ne è venuto fuori un personaggio forte, di rilievo.

Ma la cosa non è finita lì.
Sì, il giorno dopo abbiamo visto che il manifesto titolava sulle «bugìe dì Lucchini», e poi abbiamo ricevuto il telegramma di Mario Varianti, che chiedeva di poter dire la sua.

E come mai avete deciso di ricevere Mario Varianti?
La ragione è molto semplice. Viviamo in uno stato democratico dove tutti hanno diritto di replica, specie in un programma televisivo che si dichiara popolare e che non deve limitare il suo pubblico ai grandi protagonisti ed escludere quelli che Manzoni chiamava gii umili.

Come l’avete visto l’operaio Varianti? Dalla televisione sembrava che vi apparisse come una specie di «oggetto misterioso».

Niente affatto. A me è sembrato una persona per bene, a posto, ovviamente molto emozionato, un signore agitato che sudava. Francamente si fa un abuso delle parole «umanamente», «umano» eccetera, e poi questo atteggiamento non si pratica spesso. In questa situazione ho sentito la necessità di mettere una mano sul braccio di questo signore per aiutarlo a essere sereno protagonista di quella trasmissione, Era il meno che si potesse fare.

Quale domanda ha pensato di fare?
Da romagnola, ho chiesto subito: «Lei di che si lamenta?». In fondo era la ragione per la quale aveva mandato il telegramma ed era venuto a Roma. Piero Ottone gli ha chiesto delle condizioni di fabbrica: quale era il suo salario, l’infermeria, la mensa. Era un modo di metterlo a suo agio. Le risposte che tutti ricordano ci sono sembrate incredibili, ma lo abbiamo lasciato parlare senza sovrapporre commenti. Quanto a me, sono rimasta appassionata dal rapporto forte, di affetto che questo operaio aveva con la sua fabbrica, con i suoi compagni di lavoro. Alla mia domanda : perché è venuto da noi a raccontarci queste cose invece di discutere con la controparte e col presidente Lucchini? «Non l’ho mai visto», mi ha risposto. Capisco che i grandi dirigenti non possono incontrarsi tutti i giorni con i loro dipendenti, ma parlarsi è necessario. Il mio augurio in quella puntata di Domenica in e ancora oggi è che la direzione della Bisider si incontri non solo e non tanto con i sindacati, ma con i lavoratori di quella fabbrica, mettersi seduti attorno a un tavolo.

Dopo questa trasmissione di Domenica in alla Bisider c’è stato uno sciopero.
Guardi, lei può anche considerarmi conservatrice, ma io non sono affatto per il ritorno alla guerra sociale. Si può e si deve sempre discutere e ragionare fino a raggiungere un’intesa.

Poi è arrivata la lettera della Bisider, che Ottone ha tetto, ed  è arrivata anche una risposta della Fiom e della Firn di Brescia. La leggerete oggi, domenica?
Certamente. Ottone aveva letto la prima lettera e io leggerò questa seconda.

Senta, non è un po’ orgogliosa del fatto che dopo la vostra trasmissione alla Bisider abbiano ripulito i locali, messo l’infermeria e forse anche la mensa?
Non mi sentirò soddisfatta fino a quando la direzione della Bisider non si incontrerà con gli operai. Ma insisto ancora — e non mi importa nulla delle vostre possibili critiche di sinistra — penso che ci voglia calma. Siamo nel 1986 e anche gli operai se vogliono guadagnarsi il rispetto o l’ampliamento dei propri diritti devono avere calma e gesso, come dicono i giocatori di biliardo.

Ma lei pensa che questo famoso incontro al quale tiene tanto avverrà o no?
Quel che penso non glielo dico, ma mi auguro fortemente che avvenga.