Una delle risposte più interessanti alla storiografia revisionista degli ultimi anni arriva dal lavoro di Valerio Gentili Antifa. Storia contemporanea dell’antifascismo militante europeo (Redstar press, euro 14,00), già autore di studi sul movimento operaio e direttore dell’Archivio Internazionale Azione Antifascista Roma. Il saggio affronta un tema spesso assente nella discussione politica «ufficiale», ovvero la presenza di un antifascismo militante come fenomeno memorialistico, ma contemporaneo. L’onda «revisionista» che da trent’anni ha inondanto i media occidentali ha certamente influito sulla percezione della cosiddetta società civile a proposito della Resistenza, oscurando non solo i valori dell’antifascismo, ma persino la sua stessa esistenza. Se infatti uno degli obiettivi più conseguiti è la riscrittura della storia partigiana, la ricerca di «zone grigie», e l’equiparazione fra comunismo e nazismo sotto le insegne dell’ideologia totalitaria, lo scopo ultimo sembra essere la negazione o la criminalizzazione di una azione antifascista contemporanea dentro le metropoli europee. Le ragioni sono molteplici: negazione del conflitto di classe prodotto dall’ipertrofia capitalistica e dalla sue recente crisi; autoassoluzione dei ceti dirigenti dalle responsabilità che ha tale crisi prodotto; colpevolizzazione della working class e conseguente politica d’austerità esclusivamente a proprio carico. Se quindi il fascismo non è presentato come regime formale dittatoriale – l’espressione talvolta usata è «autoritarismo light» – resta viva tuttavia gli attacchi dei gruppi fascisti e neonazisti contro i migranti.

Il lavoro di Gentili non è dunque una ricerca storiografica di un lontano passato, ma l’analisi puntuale e sistematica di un attivismo militante la cui presenza tende ad essere taciuta per le ragioni di cui sopra. Antifa, Black Block, Chasseurs sono alcuni dei gruppi che, con la loro partecipazione, hanno scritto la storia di una risposta militante contemporanea. Gentili ripercorre la formazione di tali unità, partendo da due considerazioni storiche essenziali all’analisi che propone. La prima è l’esibizione nemmeno tanto mascherata di una certo fastidio, da parte della sinistra ufficiale e «liberal», verso quanti parlano di antifascismo sia contemporaneo sia militante, preferendo a ciò un sostegno troppo sovente espresso in termini formali, intellettualistici e decisamente in un quadro politico in cui si tende a cancellare il conflitto di classe; la seconda, conseguenza sia della crisi sia del lassismo appena ricordato, l’aver abbandonato le classi lavoratrici ai canti seducenti della destra, quando la disoccupazione e la marginalizzazione hanno offerto ai gruppi nazifascisti una sponda comoda per la loro propaganda.

L’originalità del lavoro di Gentili non riposa tuttavia soltanto nella descrizione acuta dei militanti antifascisti che in tutta Europa hanno risposto ad organizzazioni quali «Alba dorata» con vere e proprie controazioni offensive. Uno dei risvolti più interessanti è l’aver evidenziato un aspetto metodologico dell’antifascismo militante per alcuni versi «inattuale», ovvero averlo riportato alla dimensione «clandestina».
Contrastare il fascismo «con ogni mezzo necessario». Questo assunto ci porta al cuore del problema, ovvero constatare che la militanza dei gruppi antifascisti descritti nel libro negli ultimi trent’anni ha agito seguendo un semplice precetto: cacciare i fascisti dalle città con, appunto, «ogni mezzo necessario». Gentile riporta alcuni dati statistici molto chiari: uno fra tutti l’aumento degli squadristi e delle aggressioni da loro perpetrate in maniera esponenziale. Nel 1992, ad esempio, in Germania, la percentuale degli attacchi ad immigrati e «diversi» aumentò del 74% rispetto all’anno precedente. Richiamandosi alla tradizione antifascista weimariana, molti gruppi di sinistra iniziarono a concepire l’autodifesa tramite il contrasto fisico come unico strumento efficace di risposta. Il risultato, politicamente scorretto, fu però una cacciata dei nazisti da molte città.

Pur differenti negli stili e spesso nelle origini, anche in Francia e Inghilterra i gruppi antifascisti, osserva Gentili, hanno operato essenzialmente rispondendo fisicamente al sorgere imperante di una destra totalitaria, riportando notevoli successi. Il saggio quindi non solo disegna la galassia dei maggiori movimenti di lotta contemporanei, ma nella loro descrizione pone alcuni interrogativi fondamentali che riguardano il rapporto stesso fra antifascismo, Stato e democrazia. Nel sottolineare come uno dei punti di forza di tali movimenti sia certamente la dimensione urbana, comunitaria e antiparlamentaristica, sorge d’altra parte in maniera spontanea per il lettore la domanda se questa forza non annidi una sotterranea fragilità, ovvero l’impossibilità di trasformare e trasportare la lotta su un piano politico strategicamente più articolato. Interrogativo, beninteso, plausibile se si vuole concedere allo Stato la possibilità teoretica di essere rappresentante delle istanze democratiche e non dei poteri finanziari – cosa che i gruppi su citati non sembra vogliano prendere in considerazione. Gentili non affronta in questa sede la questione, ma certamente il suo lavoro offre, oltre alla mappa dei movimenti antifascisti, un laboratorio di quesiti a proposito del destino della nostra democrazia occidentale su cui vale la pena soffermarsi.