La nuova raccolta di Lidia Riviello edita da zona contemporanea (pp. 62, euro 10) ha un titolo enigmatico Sonnologie ma poi inoltrandosi nella lettura,  quel titolo assume una connotazione ben precisa portando il lettore in uno stato di veglia dilatata, tensione ed attenzione verso ciò che il mondo sta divenendo; come se i sensi per un attimo scorrendo le pagine, uscissero dallo stato di torpore dove essi, ci fa intuire la poetessa, si trovano, tutti noi ci troviamo. Perché? basta seguire il rigor straniante delle parole che si susseguono nelle pagine: trattato, antiossidante, versione hd, procedure, slogan, istituto, postproduzione. E diviene chiaro allora questo perché: la tecnica, che non è la téchne greca, l’alto spirito d’ingegno, in questi fogli ci si trova dentro quel costrutto che il pensiero moderno a partire da Leopardi analizzò e lo stesso pur discusso Heidegger chiamò già in tempi protonovecenteschi, molto lontani dalla digitalizzazione, apparato, macchinazione (Gestell).

LIDIA RIVIELLO nella sua scrittura franta, fatta di cesure, scrittura di rottura, avrebbe forse detto l’illustre prefatore di un suo libro del 2008, Edoardo Sanguineti, ci fa intuire appunto come la tecnologia moderna prodotta su ampia scala, abbia lavorato per impossessarsi anche di quel luogo chiamato inconscio, costruendo delle mirabili architetture fatte di pulsioni effimere e pervadenti che s’infilano nell’ultimo cantone rimasto intatto il sogno, nel sonno: «sull’uso e non sul significato dei sogni lavorano incessantemente/sottotitolando misticamente il profitto…» è lì che lavorano gli algoritmi di ultima generazione, perché possa attecchire la sempre nuova delirante proposta commerciale. Ed ecco spuntare come deus ex machina tra le pagine Sebastian Thrun grande ingegnere informatico che ha sviluppato con altri la macchina senza guidatore; entusiasta il suo ideogramma sembra proporre all’uomo moderno, l’ultimo oggetto che lo renderà libero dal pensiero di guidare: «manca il conducente,/attraverso la velocità non si sente se poi/la macchina frena, la storia finisce in motore.//…» e questo uomo nuovo, potrà si sognare nuovi sogni ma in un sonno dello spirito sempre più fondo.

Sonnologie è sicuramente come dice Emanuele Zinato in nota, (un libro fuori dalla lirica, dentro la poesia di pensiero) e da intendersi poesia di pensiero, credo, come quell’habitus proprio dei poeti autentici, vòlto alla ricerca delle sempre sfuggenti verità del mondo. Lidia Riviello difatti con una intuizione rilevante e una scrittura puntellata di ironia, capovolge il frame: la nostra vita così in apparenza vitale, in verità è dentro il sonno che la società ipertecnologica sta creando da anni allontanandoci di fatto da quelli che amabilmente Vittorio Sereni chiamava gli strumenti umani. Somiglia Sonnologie a quel mirabile libro scritto in prosa, alta prosa, da José Saramago dal titolo Cecità.

Lì un uomo diveniva cieco di colpo, poi lo seguiva una intera collettività e proprio in quell’attimo i malcapitati sperimentavano la sopraffazione, le angherie del potere nei confronti di chi non ha più la capacità di discernere.

IL MONDO delle ombre moderne di Riviello, impelagate in questo sempre nuovo sogno tecnologico, ci parla di tutti noi presunti vivi ma già forse sbiaditi nella paresi digitale, ci accompagna passo passo dentro questa notte dell’etica in cui siamo giunti: «guarda l’effetto della torre di babele, è arrivata la parete cellulare/con le sue forme magnifiche».