In attesa di domare la rivolta della diaria che ancora divide i parlamentari del movimento 5 stelle, ieri Grillo ha minacciato i giornalisti con dossier segreti su mogli e figli, ha detto che voterebbe Berlusconi a senatore a vita («a patto che poi si levi dai coglioni») e poi, come d’ordinanza, ha gridato al «colpo di stato» senza però convocare manifestazioni oceaniche a Roma. Il comico genovese si è risparmiato la fatica di ritrattare l’accusa da «golpe» a «golpettino» come fece dopo l’elezione di Napolitano alla presidenza della Repubblica. Deve avere capito che le piazze, dopo averle convocate, bisogna anche saperle governare. Piuttosto che tornare a fare il pompiere, ieri Grillo si è limitato ad aprire il lanciafiamme virtuale. Il suo pensiero è andato come sempre alle commissioni, in particolare alla vigilanza Rai e al Copasir. Pur di averle, strappandole a Sel, è disposto a tutto, anche a spararle grosse, come piace al teatrino della politica. «C’è stato un bel colpo di Stato, non un colpettino – ha ribadito uscendo dall’Hotel Forum di Roma – Siamo l’unica opposizione e ci hanno messo in un angolo. Sarà una guerra all’ultimo sangue perché tutte le commissioni mettono degli ostacoli». Una dichiarazione di guerra spuntata, dato che una minoranza può ben poco anche in una commissione. Il presidente del Consiglio Enrico Letta, che era a colloquio con il presidente dell’Europarlamento Martin Schultz, è passato subito all’incasso. Le parole di Grillo sono «inaccettabili» ha detto. E poi: «Si ricordi che una giornalista cilena gli ha spiegato cos’è un colpo di stato facendogli fare una figuraccia». Schultz ha rincarato la dose facendo a Grillo la lezioncina sulle responsabilità: «chi urla di più non se le vuole assumere». Insieme hanno proposto di anticipare 6 miliardi stanziati dalla presidenza irlandese dell’Unione Europea nel bilancio 2014-2020 per affrontare la disoccupazione giovanile.

Nel ping pong tra un’agenzia e un post sul blog, Grillo ha alzato i toni della farsa: «Letta è un mantenuto della politica e un nipote di lusso». Quest’ultimo, che è un muro di gomma dotato di una certa ironia, gli ha risposto che è «da 46 anni che fa il nipote» di suo zio Gianni Letta. In pratica ha detto di essere stato partorito in vista di un destino da salva-Berlusconi. E poi ha aggiunto di avere tagliato lo stipendio ai ministri, mentre Grillo non riesce a togliere poche centinaia di euro alla diaria dei suoi deputati. Il romanzetto di giornata si è concluso con una nota congiunta di deputati e senatori 5 Stelle. Insieme hanno invitato il presidente del Consiglio a usare una calcolatrice. Loro hanno rinunciato a 42 milioni di euro di rimborsi elettorali, più altri 10 tra indennità e benefit. Quei viziatelli del Pd hanno fatto finta di niente. In questo modo i grillini hanno vinto la loro battaglia morale sui costi della politica, ristabilendo onore e verità con le loro promesse elettorali. Quanto basta per passare un weekend con l’anima in pace.

Lunedì, al ritorno del governo dallo «spogliatoio» nell’abbazia di Sarteano, si tornerà a ballare con l’Imu. Nel decreto che arriverà in settimana, Letta ha confermato il blocco del pagamento di giugno per le prime case, ma oltre non è andato. Renato Brunetta ha invece assicurato che la tassa sarà cancellata. Nel frattempo il sindaco di Milano Giuliano Pisapia ha detto che il capriccio di Berlusconi sull’Imu «scipperà» 70 milioni di euro al suo bilancio comunale. E imporrà nuove tasse ai cittadini milanesi. Nessuno però lo ha ascoltato. Il teatrino tra Grillo e Letta aveva già chiuso i battenti.