Ieri in mezzo mondo il nuovo sciopero globale per il clima, sciopero che in Italia avrà luogo venerdì 27. È un momento importante per fare pressione prima dell’Assemblea dell’Onu di lunedì prossimo che farà il punto – politico ma non negoziale – sullo stato delle azioni per combattere i cambiamenti climatici. A dicembre avremo la Conferenza delle Parti in Cile che proseguirà il negoziato sul clima che, a fine 2020, dovrebbe sancire i nuovi «obiettivi volontari» che dovrebbero essere molto più alti di quelli espressi a Parigi nel 2015. Com’è noto, con gli obiettivi volontari attuali il pianeta è destinato a «cuocere» con un aumento della temperatura globale ben superiore ai 3°C invece di stare “ben al di sotto dei 2°C” e meglio entro i 1,5°C.
Questa traiettoria va assolutamente modificata se l’umanità vuole evitare le conseguenze più disastrose dei cambiamenti climatici.
Gli effetti già oggi visibili, infatti, sono relativi all’aumento di meno di 1°C globalmente rispetto all’era preindustriale (anche se la temperatura sulla sola terraferma è già aumentata di 1,53°C).
L’Era dell’Antropocene – secondo la definizione proposta dal premio Nobel Paul Crutzen, l’era geologica in cui l’ambiente è fortemente condizionato a scala globale dall’azione dell’uomo – nella quale siamo immersi fino al collo ha infatti modificato anche il significato dell’espressione «battersi per un futuro migliore».
Infatti, anche se riuscissimo a vincere questa sfida epocale, e cioè riuscendo a contenere l’aumento globale della temperatura globale entro il 1,5°C, avremo comunque un mondo in cui il clima sarà peggiore di quello che sperimentiamo oggi.

I Fridays For Future, e il messaggio di Greta, sono mirati ad averlo ancora un futuro, come società umana se non addirittura come specie.
Vedremo se e come la politica, a livello globale risponderà: non abbiamo più tempo da perdere.

All’Assemblea dell’Onu a New York parlerà anche il presidente Giuseppe Conte e a lui vorremmo dire che tipo di misure vanno prese se si vuol prendere sul serio la sfida. Innanzitutto, gli obiettivi del Piano Energia e Clima – redatto in modo burocratico rispetto a obiettivi europei che sappiamo verranno rivisti – vanno alzati, e di molto, per renderli coerenti con l’azzeramento delle emissioni di CO2 nei prossimi 20 anni.

Col piano attuale, infatti, non arriveremo alla «decarbonizzazione» (zero emissioni di CO2) nemmeno nel 2070, come del resto pensa buona parte dell’industria fossile anche nazionale.

Questo significa detronizzare dalle politiche energetiche non solo il carbone (se ne prevede l’uscita al 2025, ma al momento non ci sono piani o scadenze precise) ma progressivamente anche il petrolio e il gas naturale. E dunque progettare un piano energetico basato essenzialmente su efficienza e rinnovabili.

Un piano di questo genere avrebbe peraltro conseguenze positive sia sull’inquinamento in generale che sulla creazione di nuovi posti di lavoro, se attuato con strategie adeguate.

In questa prospettiva, come in alcuni Paesi hanno già iniziato a fare, va posta una data (2028 la richiesta di Greenpeace) entro cui far cessare le vendite delle automobili con motore a combustione interna (diesel, benzina, gas).

Un’altra misura da prendere è quella di ridurre progressivamente i sussidi agli allevamenti intensivi, che sono parte non marginale del problema.

Se si vuol fare sul serio, queste rappresentano il tipo di misure da prendere. Altrimenti si continuerà a prendere tempo per proteggere le posizioni di chi – dal settore del gas e petrolio a quello dell’auto – non ha ancora mosso nemmeno i primi passi per il cambiamento necessario.

*Direttore Greenpeace Italia