«Una questione di prepotente urgenza», «una realtà che ci umilia in Europa», «un abisso separa la condizione delle nostre carceri dal dettato costituzionale»: come in una eco diluita nel tempo, ieri mattina, nella sala Zuccari del Senato, ritornavano le parole con cui il presidente della Repubblica, nel luglio del 2011, volle intervenire al convegno per l’amnistia promosso dal partito radicale. Due anni dopo, la situazione – se possibile – si è ancora aggravata: il sovraffollamento è sempre lì, nonostante modesti provvedimenti deflattivi presi prima dal ministro Severino e poi dal ministro Cancellieri; e nel frattempo è intervenuta la sentenza della Corte europea dei diritti umani che ci condanna e ci obbliga a ricondurre entro gli standard e la legalità interna e internazionale il nostro sistema penitenziario, da qui a sei mesi.

Lo scorso 8 ottobre, Giorgio Napolitano ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e, con un formale messaggio, si è rivolto direttamente al parlamento chiedendogli di farsi carico di questa emergenza: sia attraverso una riforma organica del sistema penale e penitenziario, sia attraverso il ricorso a un provvedimento straordinario di amnistia e di indulto. Appena dopo, la Corte costituzionale disegnava uno scenario del tutto simile: «Un intervento combinato sui sistemi penale, processuale e dell’ordinamento penitenziario richiede del tempo mentre l’attuale situazione non può protrarsi ulteriormente e fa apparire necessaria la sollecita introduzione di misure specificamente mirate a farla cessare». Ciò nonostante, a due mesi dal messaggio alle camere, è mancata una risposta adeguata delle camere e delle forze politiche, sottrattesi a un confronto di merito sulla condizione carceraria e sui rimedi per farvi fronte.

È così toccato alla commissione per la tutela dei diritti umani del senato e alla delegazione italiana presso l’assemblea del Consiglio d’Europa fare il punto sulla situazione, alla presenza del capo dello Stato che ha sollecitato nuovamente le camere ad assumersi le proprie responsabilità e a dire chiaramente cosa intendano fare prima che sia troppo tardi. E prima che l’Italia finisca sotto la scure di migliaia di condanne comminate dalla Corte europea per i trattamenti inumani e degradanti cui sono sottoposti i detenuti nelle nostre carceri.

Il ministro Cancellieri ha ribadito ancora una volta il suo favore verso un provvedimento di amnistia e di indulto, che accompagni una complessa opera di riforma ordinaria della giustizia penale. Una riforma che – è stato affermato – verrà avviata per decreto, almeno parzialmente, nelle prossime settimane. Nuova e davvero importante la notizia che, tra questi provvedimenti urgenti, vi sarà anche l’adeguamento del sistema penitenziario alla domanda di diritti che viene dai detenuti: non solo nuovi strumenti per la tutela giurisdizionale delle garanzie delle persone private della libertà, ma anche l’istituzione in tempi brevissimi del Garante nazionale dei detenuti. È la miglior risposta che potesse essere data alle polemiche delle scorse settimane sui detenuti di serie A e sui detenuti di serie B: una risposta ordinaria e di sistema volta a garantire i diritti di tutti.

Gli scettici potranno dire: si tratta solo di un convegno e le impegnative affermazioni lì fatte potrebbero rivelarsi solo parole. Certo, è così, e il rischio di una rinnovata inerzia c’è. Ma, intanto, è successo che l’amnistia e l’indulto siano ritornati a pieno titolo nell’agenda politica: e che, a volere ciò, siano stati innanzi tutto il capo dello Stato e il guardasigilli. Chi volesse non prestare loro ascolto – e non prestare ascolto a quelle decine di migliaia di persone mortificate nella loro dignità e nei loro diritti – si assumerebbe una responsabilità davvero enorme.