Pochi giorni fa la corte dei conti ha reso nota una «memoria» sulla sanità allegata alla sua relazione generale con la quale, analizzando i numeri, ha riassunto alcuni dei suoi principali problemi (sostenibilità, liste di attesa, blocco dei contratti e del turn over, assenza di prevenzione ecc). In particolare ha evidenziato il «nodo della riqualificazione della spesa da depurare.. da fenomeni di mala gestio e da sprechi». La Corte ha quindi sottolineato che il problema ancora non risolto è quello di «contemperare» le esigenze contabili con «un effettivo e generalizzato diritto alla salute».
Per valutare il recente «patto per la salute» tra governo-regioni è bene ricordarsi delle parole della Corte dei Conti. La situazione che essa descrive è quella che risulta dopo ben quattro «patti per la salute» e due «accordi integrativi» (patto 3 agosto 2000, 22 marzo 2001, 8 agosto 2001, 23 marzo 2005, 5 ottobre 2006, 3 dicembre 2009). Il cuore di questi patti, propaganda a parte, è semplicemente uno scambio tra le Regioni che vogliono maggiori risorse e il governo che tenta, ma senza riuscirci, di responsabilizzarle sul governo della spesa. Per essere rifinanziate le Regioni promettono di cambiare, riorganizzare, razionalizzare, moralizzare, risparmiare ma senza mai venire a capo di niente. Sono 14 anni che le Regioni con i patti per la salute ci illudono sulle loro intenzioni moralizzatrici, infinocchiandoci con i soliti discorsi sull’ospedale e il territorio, sui livelli di assistenza, sull’umanizzazione, le cure primarie, l’appropriatezza, ma solo a chiacchiere.
Le regioni per fare quello che promettono dovrebbero avere un pensiero riformatore che non hanno. Così i governi, disillusi dalla scarsa affidabilità delle regioni, negli anni hanno compensato le maggiori spese della sanità imponendo i piani di rientro, l’innalzamento delle aliquote irpef e irap, i ticket, il blocco del turn over e dei contratti e fissando standard ai servizi sempre più stracciati. Cioè hanno scaricato il costo della mala gestio sui diritti delle persone. Chi non si fidò delle regioni emarginandole completamente dalla scena politica fu il governo Monti che, in nome dell’emergenza, si rifiutò di fare un patto con loro tentando addirittura di ridimensionarne i poteri rifilandoci però pesanti tagli lineari. Questo patto appena siglato è l’ennesima presa in giro di regioni che per avere un po’ di soldi in più continuano ad abbindolare il governo con i buoni propositi (ne ho contati almeno una ventina e tutti differiti a data successiva e come vuole la tradizione con commissioni e provvedimenti successivi). Le due uniche cose certe sono il finanziamento del fondo sanitario nazionale e la riduzione del numero dei posti letto ospedalieri. Al di là quindi della propaganda trionfalistica della ministra Lorenzin, il dubbio che viene è se si tratta ancora una volta di un «patto» o di un «pacco»?
La ministra Lorenzin parla di questo patto come di una svolta riformatrice. Le Regioni sono raggianti perché credono di aver ottenuto i fondi che volevano (2014: 109,928 miliardi; 2015: 112,062; 2016: 115,440) ma dimenticano che la spesa sanitaria, rispetto alla finanza pubblica, resta subveniente, quindi definanziabile e che la sanità va sottoposta a una spending review dalla quale il governo spera di ricavare parecchi miliardi.
Renzi ha pubblicamente detto che se le regioni bucano l’obiettivo del risparmio si ritornerà ai tagli lineari centralizzati. Ma di questo tanto la ministra Lorenzin che le regioni non sembrano preoccuparsi e gridano che se ci saranno risparmi questi comunque resteranno alla sanità. Intanto nel patto questi risparmi non sono stimati né quantificati, nel senso che sono sottointesi in quella ventina di buoni propositi a futura memoria. Nulla di più.
Ma se i risparmi della spending review resteranno in sanità allora vuol dire che il governo resterà a bocca asciutta e dovrà ingoiare un’invarianza dell’incremento complessivo della spesa sanitaria a dispetto dei suoi problemi di spesa pubblica. Cioè si accorgerà che il «patto» è in realtà un «pacco», come tutti gli altri. Il dramma vero è che nel tempo il pacco creerà sempre più problemi di «sostenibilità finanziaria» e quindi esporrà la sanità pubblica a subire altri tagli lineari, a viaggiare verso una crescente privatizzazione e a scadere in una crescente dequalificazione dell’assistenza. Cioè alla fine le Regioni il bidone lo faranno ai diritti.
Per evitare questa brutta e ingiusta prospettiva il patto avrebbe dovuto partire dalle conclusioni della corte dei conti mettendo al centro dell’intesa il problema della mala gestio (che ci costa complessivamente nelle sue varie forme almeno 30 miliardi l’anno). Ma il patto appena siglato fa intendere che le regioni non sono disposte a a mettere in discussione le loro prerogative e il loro potere. Lorenzin avrebbe potuto chiedere alle Regioni di tagliare i costi della mala gestio per liberare risorse e ricapitalizzare la sanità. In questo modo avrebbe sbloccato da subito il turn over, assicurando ai servizi le condizioni per ben funzionare mettendo le basi per una vera riforma del sistema.
Ma per imporre questa linea politica ci vuole autorevolezza, che la Lorenzin non ha, ma soprattutto un progetto riformatore che non esiste. Sin qui le regioni hanno potuto contare su ministri deboli e su governi senza un progetto. Con questo «pacco» il pensiero debole di chi finanzia diventa del tutto subalterno a quello altrettanto debole di chi spende. La sanità pagherà cara questa grave subalternità .
L’ultimo ministro della sanità autorevole è stata Rosi Bindi che nel bene e nel male ci ha proposto una riforma, certamente non priva di aporie e di fragilità, ma con dietro un’idea nuova di governo della sanità. Dopo tanti anni anche questa idea oggi appare visibilmente insufficiente a risolvere il conflitto tra sanità e spesa pubblica. Oggi la sanità ha bisogno di riformare i suoi modelli inutilmente costosi e drammaticamente anacronistici non di razionalizzarli. La «sanità è malata» dice sconsolata la corte dei conti, aggiungendo: «Appaiono ancora latitare interventi significativi per le varie criticità sostanziali che affliggono da tempo il nostro sistema sanitario». I «pacchi» sono il sotto prodotto della pessima politica e per questo dovrebbero essere classificati tra i fattori più nocivi del diritto alla salute.