Oggi ero indecisa se parlare di quello che sta dentro la testa, il cervello, o ciò che sta sopra la testa, i capelli. I commenti di alcuni sostenitori di Erdogan mi hanno tolto dal dubbio. C’è chi, esultando per la vittoria del dittatore, ha detto: «L’opposizione ha cercato di manipolare e confondere gli elettori dicendo loro che c’era la possibilità di andare al ballottaggio». «Dire che ci sono stati dei brogli è antidemocratico perché i risultati si accettano». Eh già, secondo questi signori sostenere che si può perdere significa offuscare le menti, così come farsi venire dei dubbi non è democrazia. Sconfortata dall’ennesima dimostrazione di come la propaganda a senso unico, l’informazione pilotata, le notizie distorte possano lavare i cervelli, e di come tanta gente sia sempre più disposta a farsi sciacquare i neuroni, ho deciso di occuparmi di capigliature. Di recente mi sono imbattuta in numerose signore che hanno un rapporto conflittuale con i parrucchieri.

Memore di un esilarante resoconto di Camilla Cederna su come certe milanesi degli anni Sessanta camminavano in via Monte Napoleone zigzagando per evitare i coiffeur che avevano tradito, ho constatato che non è cambiato molto, prova che l’evoluzione delle relazioni è come quella della specie e ci impiega decenni a produrre risultati. Ecco qualche esempio di donne che, per anni, cercano un parrucchiere che le capisca senza trovarlo. Una signora con capelli che le vengono bene anche se li asciuga tenendo il phon a manetta dietro la nuca, entra da un parrucchiere per uno shampoo con piega specificando che non li vuole assolutamente diritti, ma morbidi e non schiacciati in cima alla testa.

Quello dice di sì e inizia a tirare e piastrare come un dannato. Terminata l’asfaltatura, la guarda soddisfatto e le chiede: «Contenta?». Lei, invece di mandarlo a quel paese, risponde: «Vanno benissimo». Appena a casa si lava la testa e la asciuga come vuole lei. Un’altra signora, di Parigi, decide che ha voglia di cambiare e va da un guru della Rive Gauche che le alleggerisce notevolmente sia il portafoglio che la chioma. Guardandosi nello specchio non si riconosce, ma non protesta. Paga e corre a casa a lavarsi la testa/meringa rendola più naturale con le forbici da cucina.

La prima è una cinquantenne volitiva e vanitosa, la seconda una combattiva femminista e filosofa. La domanda è, perché stanno zitte? Loro stesse non se ne capacitano e l’unica spiegazione che riescono a dare è: «Poverini, sono così soddisfatti che mi dispiace deluderli». È davvero una roba da psicanalisi.
Comincio a credere che questa cosa del non protestare con il parrucchiere affligga più le donne di sinistra che di destra. Quando ho visto queste ultime agire dal parrucchiere, sono rimasta colpita da come sappiano essere esigenti e comandare a bacchetta chi, secondo loro, le deve servire perché loro pagano. Sospetto che a bloccare l’assertività di certe compagne sia il senso di rispetto per il lavoro altrui.

Vedono uno o una che traffica attorno ai loro capelli e pensano alla fatica di stare in piedi per ore tra calore e rumore, di sorbirsi chiacchiere idiote senza poter replicare, di indovinare umori e caratteri e, alla fine, si immedesimano.
Ora, non dico che bisogna diventare stronze per essere pettinate come si desidera, ma una via di comunicazione bisognerà pure trovarla. Faccio quindi un appello sia ai parrucchieri che alle clienti insoddisfatte. Parlatevi. Soffrire in silenzio fa male. Far credere il contrario di quello che è semina false convinzioni, quindi non è democratico.

mariangela.mianiti@gmail.com