Gli Archivi Storici del Politecnico di Milano sono sempre un luogo di interessanti rinvenimenti per la storia dell’architettura. Sarebbe sufficiente esplorarli con più continuità, affidandoli a una strategia di promozione culturale che manca, perché gli spazi espositivi del Campus Bovisa si trasformassero in un luogo privilegiato di dibattito nell’ambito degli studi storici sulla città. L’occasione di parlarne ce la offre la mostra dedicata alla ricostruzione del Teatro alla Scala (fino al 14 ottobre) nel settantesimo anniversario della sua rinascita. Opera di Luigi Lorenzo Secchi (1899 – 1991), di cui il polo universitario milanese conserva per conto degli eredi l’intero archivio, il tema è già stata oggetto di indagini da parte di Elisabetta Susani alla quale si deve la sola monografia sull’autore (Milano dietro le quinte. Luigi Lorenzo Secchi, Electa) illustrata con le immagini di Gabriele Basilico. La mostra, introdotta da una breve sezione che racconta l’attività di progettista di Secchi attraverso un elenco dei suoi edifici pubblici (Piscina Cozzi, 1935; Casa del Mutilato, 1937-38; Comando dell’Aeronautica militare, 1943) nei quali semplicità e compostezza sono la cifra stilistica del suo operare, spiega in modo esauriente il lungo legame che legò Secchi alla Scala. Questo legame, che inizia nel 1932 per proseguire fino al 1982, vede il suo momento più significativo nella ricostruzione del teatro in seguito al bombardamento aereo degli alleati avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 agosto del 1943. I curatori, Claudio Camponogara, Vincenzo Ficco, Marco Vitale, hanno saputo allestire un racconto che emoziona tra fotografie, disegni e schizzi originali, e che restituisce in tutte le sue fasi un difficile restauro mosso dal solo imperativo di ricostruire «come prima, meglio di prima». Secchi, «medico curante della Scala», come lo definì la rivista Domus, lungimirante nell’avere anni prima intrapreso un meticoloso percorso di conoscenza dell’edificio, seppe mettere a frutto tutte le sue competenze nel momento più tragico della vita del teatro. Attraverso il possesso del rilievo della copertura della sala seppe ricostruirla con precisione filologica, come un’esecuzione perfetta l’ebbero gli spartiti decorativi, in particolare i fregi dei parapetti. Ancora più impegnativa, ma coronata da successo, risultò, però, l’impresa del grande lampadario in cristallo di Boemia. Dopo la rovinosa perdita causata dal bombardamento del magazzino dove era stato ricoverato in zona Bovisa, Secchi lo rifece identico all’originale sulla scorta di un ritaglio da una rivista di radiotecnica che lo riproduceva con le sue 352 lampade. La mostra è eloquente non solo perché narra la passione di un progettista e delle straordinarie capacità artigianali delle sue maestranze, ma anche perché segna il carattere simbolico che la ricostruzione della Scala ha rappresentato per Milano e l’intero paese.