L’anno si apre con la presentazione e le sfilate della moda maschile per l’inverno 2015-16. Tra Pitti Uomo a Firenze (13-16 gennaio) e Milano Fashion Week (17-20 gennaio) sarà proposto tutto il nuovo possibile con cui vestire la figura maschile che da anni barcolla tra il desiderio di allontanarsi dall’immagine del Novecento e la paura di tuffarsi in un rinnovamento generale della propria rappresentazione.

La data, 2015, suggerisce un rimando a quanto è successo esattamente un secolo fa. L’uomo di oggi non riesce a staccarsi dai vantaggi di immagine e di comunicazione che gli ha procurato l’uniforme piccolo-borghese così com’è nata proprio nel 1915 quando, complici le esigenze di maggiore praticità che richiedeva lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’abbigliamento maschile ha perso molta parte della rigida formalità ereditata dall’Ottocento, trasformando la rivoluzione liberatoria che le avanguardie di inizio secolo avevano portato anche nell’abbigliamento, in uno strumento di conservazione delle prerogative dominatrici maschili. Un risultato ottenuto attraverso un camaleontico trasformismo conservatore che, con l’arma della scaltrezza, ha permesso all’abbigliamento femminile un’apparente libertà dei costumi, per cui le gonne si sono allargate e accorciate e, sfruttando la liberazione dal corsetto (decretato da Paul Poiret nel 1903) gli abiti hanno assunto forme che apparentemente permettevano alle donne di diventare più autonome ma nella sostanza le riportavano al vecchio ruolo di strumenti del potere maschile.

Da allora l’abbigliamento maschile non è cambiato molto. L’abito composto da pantaloni, giacca e gilet e i cappotti con la martingala sono arrivati fino a noi e, con ogni probabilità, saranno i protagonisti della moda per il prossimo inverno. Infatti, nonostante negli anni che ci separano dal 1915 negli armadi maschili siano entrati giacche destrutturate, jeans, maglioni, camicie stampate, pantaloni e giacconi con tagli e materiali che derivano direttamente dall’abbigliamento sportivo (il così detto urban sport) non si può non notare che l’abito formale è rimasto a rappresentare il ruolo e il potere del maschio nella società globale, simbolo del potere ma soprattutto rassicurante per la stessa personalità del maschio.
L’abito maschile è tuttora, quindi, il simbolo di una mentalità conservatrice, mentre l’abito femminile ha saputo trasformarsi con molti significati variabili e ha usato, e usa ancora spesso, perfino i codici maschili per la faticosa scalata verso l’affermazione personale e sociale della donna.

Con questa ostinazione a conservare un’immagine che lo rassicura, l’uomo ha impedito a se stesso il proprio rinnovamento culturale. Ed è anche per questo che la moda maschile appare, negli stand delle fiere o sulle passerelle delle sfilate, un’inutile e noiosa replica di una vecchia messa in scena usurata. Tranne poche e doverose eccezioni che, si spera, in queste sfilate imminenti potrebbero aumentare in quantità e in qualità creativa.
manifashion.ciavarella@gmail.com