Cultura

Quelle voci dei bambini «illegittimi»

Quelle voci dei bambini «illegittimi»

Mostre «Una vita migliore. Frammenti di storie dell’Istituto per l’infanzia della Provincia di Torino», la rassegna a cura di Alessandro Bulgini, visitabile fino al 23 luglio

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 giugno 2023

Là dove la città si inerpica sulla collina, tra le case dove cresce il tenore di vita e dove l’aspettativa di vita è di dieci anni più alta rispetto ai quartieri popolari della città, il Comune di Torino è proprietario di un parco in cui sono immerse tre palazzine che furono acquistate nel 1952 dall’allora Provincia di Torino dai proprietari della clinica Sanatrix. Ma fin dal 1871 la Provincia di Torino, per prima in Italia, curò l’assistenza all’infanzia illegittima: trovatelli, esposti, bambini riconosciuti dalla sola madre. Venne, infatti, creato l’Istituto provinciale per l’infanzia e la maternità. Già dalle origini l’organismo si caratterizzò per le sue scelte innovative, a partire dalla soppressione della ruota degli esposti, in anticipo di oltre cinquant’anni sulla legislazione nazionale. Si chiamava brefotrofio ed era una struttura pensata per accogliere i neonati abbandonati o in pericolo di abbandono. Le ragazze erano ospitate fin dalla gravidanza e potevano soggiornare con il bambino per i primi mesi di vita. Se le mamme decidevano di tenere con sé il bambino l’istituto versava un sussidio alla madre. Adesso una mostra proprio all’interno di una delle palazzine curata dall’artista Alessandro Bulgini direttore di Flashback Habitat ne ricostruisce la storia, il contesto, attraverso documenti e fotografie dell’epoca, ma soprattutto dando voce a quei bambini, oggi diventati adulti, che continuano a ricercare la madre nel cui ventre sono cresciuti prima di essere stati affidati alla cura dell’Istituto per poi finire in adozione.

La mostra si sviluppa in dodici stanze in ognuna delle quali si può ascoltare una storia narrata in prima persona da un bambino che ha vissuto i primi anni di vita in quelle stanze. Il filo rosso che lega i dodici racconti è la disperata determinazione di ognuno nel voler sapere da dove viene. Hanno tutti oltre 50 anni, alcuni hanno vissuto all’estero, ma sono tornati, si sono appellati al Tribunale dei minori, hanno costituito gruppi sui social, pur di ritrovare il filo delle proprie origini. Per me spiega Piero, «non trovare l’origine biologica è come vivere in un buco nero». Ma lui l’ha ritrovata dopo cinquant’anni, ha rivisto quella donna che lo aveva lasciato alle porte dell’Ipim di corso Lanza 75, ma anche lei lo aveva cercato: quando si sono visti lui ricorda quelle parole «Piero è da sempre che ti aspetto».

Le fotografie in bianco e nero, piccole o su parete grande, fanno da scenario al racconto, aiutano ad entrare nella storia. Come quella di Maria che aveva dovuto lasciare il paesino della Puglia in cui viveva perché aveva disonorato la famiglia. Così era arrivata a partorire all’ospedale sant’Anna di Torino e lì dopo il parto nel 1965 aveva deciso di lasciare il figlio in corso Lanza. I bambini raccontano qualcosa che ad un certo punto della loro vita è successo, qualcosa che in loro ha «iniziato a non tornare […]. Mentre i miei cugini avevano tante fotografie della nascita, io non ne avevo, poi quella non somiglianza con i miei». Partono le domande, gli interrogativi, chi sono? Da dove vengo? Le prime ricerche. Poi sembra esserci una sorta di pacificazione rassegnata, in fondo i genitori sono quelli che mi hanno cresciuto e voluto bene, ma poi c’è qualcosa dentro che riaffiora è diventa una ragione di vita: scoprire il volto di chi ti ha tenuto dentro. «Quando vieni a sapere di essere stata adottata senti di non essere più di nessuno, non appartieni, non ti appartieni», racconta Adele. Giuseppe dopo aver ritrovato la mamma dice solo: «sono contento, perché ora posso rispecchiarmi nel suo viso». L’Istituto, nella sua forma attuale, fu inaugurato nel 1958 dal presidente Gronchi e ospitò ogni anno circa trecento bambini in attesa di adozione che spesso furono partoriti in corso Lanza.

La mostra, visitabile fino al 23 luglio, è un piccolo viaggio sulle origini dove questi bambini, diventati adulti, cercano di rispondere alla prima e più decisiva domanda: perché sono venuto al mondo?

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