Cattiva ragazza non lo sono stata mai: al mio posto, prima di me, lo era già stata mia madre durante gli anni della contestazione, gli anni della libertà sessuale, gli anni di piombo. In quel mentre, durante la mia infanzia, in ashram aurobindiani a Pondicherry, alle dogane aereoportuali di Fiumicino, durante interminabili raga di classical indian music in magici salon de musique satyajitRayani mi davo regole assolute non dettate da nessuno, seguivo l’ordine interno del mio super-io, assecondavo angeli custodi inesistenti salvandomi ogni volta la vita da sola.

Trovo per caso, frugando tra trailer di pellicole francesi su YouTube, un film con un titolo che mi incuriosisce, «Mauvaise fille», interpretato da una giovane attrice (Izïa Higelin) un po’ araba nei tratti, bocca larga tendente al sorriso, tipici occhi scuri senza fine, insieme a lei nel ruolo della genitrice Carole Bouquet, la bella metà bunueliana dell’oscuro oggetto del desiderio, madre insolita e non rassicurante: ex divina modella glam, atta all’uso di ogni tipo di droghe, nel presente della vicenda malata terminale.

Una storia dura narrata col sorriso, dolorosa senza pena, un rapporto critico e asimmetrico declinato in maniera non usuale: cattiva madre cattiva figlia, brava madre brava figlia, la bilancia oscilla costantemente da un opposto all’altro, sono entrambe donne imperfette, fumano, ridono, si deludono, osano, si ricredono, si scusano, si amano senza avere il coraggio esplicito di dichiararselo. Louise, la figlia, si scopre incinta durante l’ultima agonia materna ed ha un blocco insormontabile – morale etico pudico – di dirlo a colei che l’ha generata e che sta morendo, la vita che fa capolino dal suo ventre sporgente somiglia al cancro che gonfia di liquido il corpo di Alice: una impasse dal sapore mitologico che non troverà soluzione.

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Avendo gradito il film mi procuro online il testo cartaceo da cui è tratto. Leggo tutto in poche ore.
Devo dimenticare che l’autrice di questa storia autobiografica è la figlia del più snob falso-filosofo francese, che la stessa ha subito l’onta di vedersi fregare il bel fidanzato dalla più nota top model italiana e che il regista della versione cinematografica è proprio il marito che sulla scena viene interpretato da un attore, altrimenti potrei essere disturbata da questo «tutto in famiglia» che sa di incesto, di pubblicità, di ostentata catarsi attraverso l’arte.

La prima scena del film mi ha suscitato un’adesione imprevista: una bimbetta di cinque-sei anni sta sul marciapiede di fronte a una scuola, aspetta un genitore che la venga a prendere, tutto intorno madri, bambinaie, nonni e saltuari padri accolgono a braccia aperte bambinetti appena usciti dall’aula: lei è vestita con abiti lunghi e porta capelli lunghi fino al sedere (sono palesemente gli anni Settanta), si guarda attorno infruttuosamente.

E io sono subito con lei che resta lì fino a che una maestra non la manda a casa da sola: «Tanto hai le chiavi, no?». Sarà perché una notte, più o meno alla sua stessa età, sono scesa a via del Babbuino a cercare con gli occhi fino in fondo alla strada mia madre andata a ballare chissà dove, mentre su, nella mia cameretta, la babysitter di turno doveva badare a me e infatti dormiva. La mia impresa si rivelò infruttuosa al pari di quella della piccola Louise. Non lo dissi mai a mia madre. Cattive ragazze tutte.

fabianasargentini@alice.​it