Jonathan Haskel e Stian Westlake sono due economisti mainstream che hanno accumulato riserve e critiche verso il neoliberismo. Sono convinti che la retorica del libero mercato e dell’individuo proprietario, tanto nelle sue versioni iperindividualiste che in quelle sul «capitale umano», creino le condizioni per crisi sempre più aspre che possono mettere in discussione l’esistenza stessa del capitalismo.

INOLTRE, SONO LETTORI attenti di una fenomeno ormai trentennale che la crisi del 2008 non ha certo messo in discussione e che può essere esemplificato dalla centralità dell’immateriale nella produzione della ricchezza. Ed è proprio a questa turn dell’economia mondiale che i due studiosi dedicano il libro Capitalismo senza capitale (Franco Angeli, pp. 352, euro 29).
Il titolo è già un programma di ricerca, visto che la centralità viene assegnata al capitale, che nelle pagine spesso coincide con il capitale monetario o la finanza. Non c’è molto spazio per come viene prodotta e appropriata privatamente la ricchezza sociale. Eppure il libro è a suo modo importante: documenta i tanti mutamenti nella contabilità d’impresa e nazionale, nonché la difficoltà di quantificare l’immateriale. E testimonia come sia diventata fondamentale una analisi continua e la definizione di strumenti che valutino la produttività individuale e la performance collettiva nel produrre innovazione e manufatti «cognitivi» fondamentali per garantire la crescita economica.

I DUE AUTORI fanno un grande lavoro di scrittura, dando una struttura quasi narrativa a molte pagine del libro. Tra ricordi di percorsi universitari (la giovane e ormai di eccellenza università inglese dell’Essex ha svolto un ruolo sostanziale nello studio dell’economia dell’intangibile) e racconti su come il concetto di fiducia, brand, conoscenza tecnico-scientifica e «tacita» svolgano un ruolo essenziale non solo nella perdurante fama e successo economico dei Beatles o nella gestione di una palestra, ma nello sviluppo delle estese catene di franchising, punti vendita, produzione di servizi e manufatti cognitivi che testimoniano, appunto, la centralità dell’immateriale.

WALMART è il caso più esemplificativo, ma ci sono decine di altre imprese diventate grandi, condividendo, sotto forma di contratto commerciale, alcune conoscenze e prodotti organizzativi con altre aziende in posizione subalterna (chissà se l’idea del contratto di governo gialloverde ha questa radice mercantile?).
Il libro si snoda così, segnalando i nodi irrisolti del capitalismo senza capitale. Le disuguaglianze sociali, ovviamente, un rapporto di nuova colonizzazione dei paesi «periferici», la povertà crescente, la distruzione – a causa delle politiche del lavoro e sociali all’insegna dell’austerity – di materia grigia, cioè di conoscenza e relazioni sociali. Per Haskel e Westlake sono espressioni di una transizione che può essere più o meno lunga, a seconda di come gli stati nazionali e gli organismi internazionali registreranno, facendola diventare oggetto di riflessioni e governo dell’economia non episodici, la centralità dell’immateriale.

DUNQUE POLITICHE a favore della formazione, della ricerca, misure meno draconiane sulla proprietà intellettuale, riforma anche dei criteri di misurazione del prodotto interno lordo. E infine, una valutazione delle performance individuali e sociali non vincolata al breve termine (che distrugge l’innovazione), bensì al lungo periodo.

IL VOLUME SI COLLOCA in quella variegata costellazione di analisi, riflessioni mainstream sulle trasformazioni del capitalismo. Lo fa con audacia e con uno sprezzo del pericolo: quello di essere accusati di chiudere gli occhi proprio sui nodi irrisolti del capitalismo senza capitale. La pervicacia delle politiche ancora dominanti neoliberali e di austerity ha costruito non poche gabbie per riprodurre rapporti sociali e di potere consolidati.
Ma per questo serve un cambiamento di prospettiva, tornando a misurarsi con il come, il dove, il quando viene prodotta la ricchezza, il ruolo fondamentale del lavoro vivo. E di come quella ricchezza sia espropriata e catturata dal capitale. Ma questa è tutta un’altra storia, alla quale Haskel e Westlake dedicano pagine molto convenzionali.