«Ora che sono tornata a Pietroburgo, mi rendo conto sempre più di come sia difficile crearsi una vita nuova in quei luoghi dove abbiamo già lasciato un’impronta, quell’impronta che ci impedisce di diventare ciò che vorremmo essere». Parola di Anna Karénina che, in preda alle sue angosce amorose, parla dei suoi smarrimenti con Emma Bovary. Le due famose e molto amate personagge letterarie, nate dal genio rispettivamente di Gustave Flaubert e Lev Tolstoj, diventano infatti protagoniste dell’originale romanzo epistolare firmato da Marosella Di Francia e Daniela Mastrocinque, Amiche di penna (Mondadori, pp. 193, euro 18,50).

È Anna Karénina che scrive per prima, durante il suo viaggio in Italia con Vronskij. Una piccola missiva in un foglietto giallo tenue, con il sigillo di ceralacca già rotto, a cui Emma Bovary ritorna in un pomeriggio assolato e umido. L’esperimento ha inizio e la comunicazione tra loro dura circa un paio di anni.

Il progetto a due, in cui la sponda è anzitutto tra Mastrocinque e Di Francia, ha al centro il racconto di un’amicizia impossibile ma affascinante tra due delle figure letterarie più attraenti di sempre. Creature molto diverse, Anna appartenente all’alta società russa ed Emma alla provincia francese, che tuttavia sono accomunate da grande passione e ardimento. Soprattutto sono capaci di diventare – passando dalla penna maschile dei loro primi creatori a quella femminile delle seconde inventrici – vicine, solidali, ferme nel consiglio reciproco e apprensive verso la sorte l’una dell’altra.

Nel lento dipanarsi delle lettere, si aprono in autenticità, come si farebbe tra amiche nella quotidianità; si dicono delle proprie sventure scampate, dei propri amori rifiutati o impossibili, dei sussulti anche letterari, insieme allo scacco che spesso l’esistenza pone dinanzi agli occhi. Ma la scommessa di Mastrocinque e Di Francia non si ferma qui, spinge sul confronto anche intorno ad altri libri e ulteriori storie. E in questo corpo a corpo che diventa un gioco del possibile a venire, si congiungono mondi esplorati che, grazie alla parola letteraria, fanno acquisire alle personagge e ai personaggi una propria autonomia di enunciazione. Per dire che non è tutto già visto e detto, bensì da contaminare ancora e ancora.