Il primo di gennaio di quest’anno Jacques Le Goff aveva compiuto novant’anni e per il compleanno aveva spedito un biglietto stampato in cui raccontava che avrebbe avuto accanto a sé gli amici, i due figli, il ricordo sempre presente della moglie amatissima (la cui perdita aveva tentato di comporre in un libro, Con Hanka, pubblicato da Laterza). Attraverso un amico parigino gli avevo mandato dei fiori e per questo mi aveva telefonato, con il calore di sempre. Ho dunque di lui un ricordo recentissimo. Nell’emozione di questa perdita inaspettata, perché mi sentivo al sicuro avendo da poco ascoltato la sua voce, non riesco a parlare dei suoi libri. Di lui, vorrei sottolineare alcuni aspetti. La generosità, la capacità d’ascolto, quando guidava i seminari all’Ecole des Hautes Etudes, attento ad ogni osservazione degli studenti, che trattava assolutamente alla pari dei colleghi. La sua capacità di giungere con prodigiosa acutezza al cuore di un problema: riassumeva le considerazioni prospettate e poi con un immancabile e bonario: «ceci dit», passava a mostrare l’altra faccia della luna.

Aveva curiosità estesissime che lo portavano a continue e disparate letture in ogni campo. Credo che nessuno mai potrebbe, come ha fatto per anni Le Goff, guidare una trasmissione radiofonica, presentando ogni giorno un libro di argomento diverso, non necessariamente di storia medievale, e intervistando, perfettamente a proprio agio, autori e specialisti dei più vari settori.

Finché è vissuto, lo storico spesso messo a paragone fu George Duby, più vecchio di cinque anni, diversissimo rispetto a Jacques Le Goff, a cominciare dal carattere, freddo e riservato: anche a lezione incedeva con lentezza ieratica, come un vescovo con mitra e pastorale. Duby nelle sue ricerche forniva sempre dati solidi e precisi, frutto di pazientissime ricerche d’archivio. Le Goff, al contrario, era meno esauriente quanto a dati e notizie, ma aveva la prodigiosa capacità di porsi e porre domande lampeggianti, continue come nei temporali estivi, per cui, dopo, la ricerca non poteva non tenerne conto e spesso ci si rendeva conto di avere imboccato una strada a fondo chiuso.

«Lo seppellirono, ma tutta la notte funebre, nelle vetrine illuminate, i suoi libri, disposti a tre a tre, vegliavano come angeli dalle ali spiegate e sembravano per colui che non era più, il simbolo della sua resurrezione». Così scrisse Proust di Bergotte: ma per Le Goff, resurrezione o vita che non si spegne?