Una pallonata contro i cori della vergogna. Una traiettoria lunga sei anni, dalla sfera scagliata dall’ex milanista Kevin Prince Boateng verso la curva della Pro Patria, a Busto Arsizio, sino a Mario Balotelli verso i tifosi del Verona. Sei anni di ululati, di offese, di discriminazione. In mezzo, il riflesso dei social, l’indignazione, il disgusto e il silenzio delle società e delle istituzioni del pallone (sollecitate ieri dal vicepresidente dell’Uefa, Michele Uva), la politica che ha fatto pure di peggio, creando il terreno fertile per la furia dell’intolleranza. Ieri si sono accumulate in poche ore le reazioni al gesto di Balotelli, pallone verso la curva e la tentazione di lasciare il campo. Senza dimenticare che in queste prime undici giornate di campionato, il razzismo ha toccato l’interista Lukaku a Cagliari, poi il milanista Kessiè sempre allo stadio Bentegodi di Verona, il fiorentino Dalbert e nell’arco di sette giorni, il centrocampista del Sassuolo Duncan, con partita sospesa come avvenuto all’Olimpico per il difensore senegalese del Napoli, Kalidou Koulibaly (preso di mira anche nello scorso campionato a San Siro con l’Inter), sino a Balotelli, tra ululati e versi da scimmia «intonati» dalla tribuna di sponda veronese. Troppi, per non considerare l’Italia un paese attiguo all’intolleranza.

CON LA META sempre più vicina, grazie a personaggi come il capo ultras della curva del Verona, Luca Castellini, coordinatore cittadino di Forza Nuova, un culto devoto verso Hitler, che ha vergato pensieri ad alta voce a un radio sul folklore della curva veronese, altro che razzismo, su Balotelli non al 100% italiano, sul «negro» che gioca nel Verona, ovvero Salcedo, domenica applaudito per il gol segnato al Brescia. Castellini, prodotto di punta di una curva in cui si inneggia al nazismo. Cronaca, come la posizione del presidente del Verona, Maurizio Setti e del tecnico Ivan Juric: niente cori, solo sfottò, Balotelli si è inventato tutto, mentre girano in Rete le miniclip della vergogna e i profili social di Balotelli registravano endorsement in serie: da Boateng a Koulibaly, poi quello dell’allenatore del Napoli, Carlo Ancelotti e di Fabio Capello.

LA FIGC mai segnalatasi negli anni per iniziative forti contro il razzismo – si attende per oggi la decisione della Procura sul Verona, ma è probabile che si proceda con una semplice ammenda – in rispettoso silenzio come quasi la totalità dei club italiani incapaci di distanziarsi dalle frange più violente del tifo, è riuscita a far peggio, spiegando, attraverso la procura, che «erano venti a gridare buuh e ululati razzisti, il resto della curva veronese applaudiva invece Balotelli».
Anche il presidente dell’Assocalciatori, Damiano Tommasi, lo ha definito «un episodio d’intolleranza» ma che Verona «non è razzista», forse dimenticando che il trattamento riservato all’attaccante bresciano è toccato ad altri calciatori e società, come il Napoli, vittima negli anni (e non solo a Verona) di cori di discriminazione territoriale. Insomma, niente folklore o liturgia da stadio, come sostenuto dal presidente del Verona, ma anche da Steven Zhang, presidente dell’Inter, che settimane fa ha negato la presenza del razzismo nel tifo ultras interista dopo la lettera della curva nord nerazzurra a Lukaku, oggetto degli ululati a Cagliari, in cui si spiegava all’attaccante belga che «in Italia si fa così, non per razzismo ma per disturbare i calciatori avversari». E solo la Roma sinora ha preso posizione, con la denuncia del tifoso (Daspo per 36 mesi) colpevole di stalking e minacce aggravate da odio razziale ai danni del difensore giallorosso Juan Jesus.

QUINDI, il problema non risiede solo sugli spalti, anzi. Lo ha spiegato Arrigo Sacchi a Circo Massimo, su Radio Capital: «Il calcio è il riflesso della vita sociale, della storia e della civiltà di un paese. Abbiamo disconosciuto tutti i valori, non solo nel calcio ma anche nella vita. Mi spieghino perché le curve sono dei porti franchi. Bisogna cominciare a pulire le curve».