Era una persona che abbracciava con lo sguardo, Valentino Parlato. E sarà forse proprio quel suo sguardo che mi mancherà di più, di questi tempi angusti e incupiti.

Era un comunista, di quelli capaci di scorgere gli orizzonti lontani anche da una stanza piena di fumo, cercando parole e spingendo tasti.

Era un giornalista, un formidabile analista del reale, che di quel reale sapeva cogliere il prima e il dopo, spiegandolo con acume e leggerezza. Era un maestro, ma un maestro riluttante, con quell’aria disadorna da anti-eroe, sotto quella giacca di velluto consumata da decenni di speranze politiche.

Era un uomo tenace e generoso, senza la cui totale abnegazione il manifesto non sarebbe sopravvissuto, sebbene stentasse e ancora stenti a rendergliene merito: fin quasi a dimenticarsene.

Era un amico, un compagno, un fratello; mi ha accompagnato in tante avventure: quando ho fatto il direttore, poi da presidente e perfino nella spericolata «Repubblica Romana», condividendo slanci e passioni, sorridendo di sconfitte e delusioni.

Non ti dimenticherò, Valentino caro.