Enrique Dussel è un intellettuale argentino, naturalizzato messicano, in esilio. Tra i fondatori del movimento Filosofia della Liberazione, è conosciuto come critico dell’eurocentrismo ed autore di opere su Marx (Metafore teologiche di Marx), scritti politici (20 tesi di politica), lavori sul concetto di liberazione, divisi in Etica, Erotica e Pedagogica, che usciranno anche in Italia grazie al lavoro indefesso di Antonino Infranca, traduttore princeps dell’autore argentino.

Proprio ad Infranca si devono la traduzione e l’Introduzione di un breve saggio di Dussel, ricco di implicazioni destinate ad una discussione ponderata: Cinque tesi sul populismo (Castelvecchi, pp. 57, euro 9). I lemmi che l’autore pone al centro dell’attenzione sono quelli che occupano le menti delle intellighenzie del mondo intero rispetto al fenomeno che dà il titolo al libro: rappresentanza, partecipazione, ingovernabilità, democrazia, Costituzione, neoliberismo, globalizzazione, leadership, popolo, popolare; in ultimo, un termine, interpellazione, che può apparire un neologismo, in quanto ci è più familiare l’interpellanza, ma che, nella terminologia dusseliana riveste il significato del riconoscimento da parte del popolo, nel momento in cui rivendica i propri diritti, di possedere e mettere in pratica l’«autocoscienza della propria esistenza come attore collettivo», come chiarisce Infranca.

LE CINQUE TESI di Dussel possono essere sintetizzate nel modo seguente: 1) il populismo, in America latina, ha connotato positivamente i regimi che hanno avuto inizio dalla rivoluzione messicana del 1910 e si sono poi diffusi nel Continente; 2) il populismo, sempre in America latina, ha assunto un significato denigratorio nei confronti di quei governi che si sono opposti alle direttrici di controllo economico dettate dagli Usa a partire dall’89; 3) populismo non significa né popolare né popolo; 4) con le parole dell’autore, «la democrazia reale si collega all’organizzazione effettiva della partecipazione politico-popolare»; 5) in che modo vada esercitata la leadership onde evitare avanguardismo o dittature carismatiche.

Prendendo in considerazione il contesto mondiale del 900, il populismo si presenta in America Latina nel momento di crisi del liberalismo e di ascesa delle masse, diventa una forma di «grande politica», contribuisce a costruire una società industriale e moderna dando cittadinanza alle stesse masse attraverso il disciplinamento della questione sociale. Diventa, par di capire dalle tesi dusseliane, una teoria esplicativa dell’America Latina nel suo complesso attraverso un paradosso di fondo: se il populismo ha impedito l’integrazione delle classi popolari nelle strutture politiche della democrazia classica europea, ha, invece, grazie all’attribuzione di un ruolo centrale allo Stato, associato sviluppo economico e spazi istituzionalizzati di integrazione politico-sociale delle masse. Questo paradosso è diventato anche il limite dello sviluppo delle società latino-americane verso la modernità (da questo punto di vista va letta con attenzione la IV tesi di Dussel).

OGGI, PERÒ, quando si parla di populismo, la mente non va di certo a questa elaborazione dusseliana, la quale ne richiama con forza le origini; oggi, parlare di populismo significa, il più delle volte, prendere in considerazione i comportamenti politici di leader definiti populisti (la quinta tesi è emblematica). La generalizzazione, e banalizzazione, del termine produce formule antisistema applicabili sia a destra (dove il populismo è declinato con xenofobia, razzismo, elogio del libero mercato e delle differenze di classe e di censo) sia a sinistra (dove il populismo dovrebbe sottrarre all’oblio, rimettendole in circolazione, eguaglianza, libertà e solidarietà), fino alla conclusione che il populismo possa costituire il superamento della democrazia rappresentativa verso la democrazia diretta. La maggior parte dei sostenitori di questi punti di vista è convinta, almeno all’apparenza, di muoversi nella contrapposizione all’attuale modello di sviluppo capitalista che favorisce il potere di una ristretta oligarchia globale.

DA CIÒ DERIVEREBBE una fusione di popolo e politica destinata a porre un limite alla rappresentanza democratica per mezzo della nozione di «governo del popolo». A questo livello la dusseliana interpellazione avrebbe il ben servito e la prospettiva diverrebbe (se non è già) quella di una forte restrizione dell’espressione autonoma di quegli individui che costituiscono il popolo. Come a dire, una forma di autoritarismo basato sul consenso.