«Il ’confine’, ossia quel fatto, luogo o linea, insomma quel qualcosa che serve normalmente da separazione tra due territori, non c’era. Tutti sapevano che era lì ma non c’era una qualche materialità a provarlo». La corsa di Ismail verso il luogo a cui appartiene ma che può solo immaginare, l’invisibilità di una frontiera che non separa terre ma uomini, la lontananza forzata e innaturale imposta dalla ragione degli Stati: in poche righe, nella gioia precocemente estirpata di Ismail, Carlo Torrisi condensa i dolori del mondo arabo nel suo Sibila il silenzio (Jouvence, pp. 288, euro 18) .

LA STORIA, LE STORIE: tanto tempo potrebbe essere dedicato a disquisire sulla centralità dell’individuo per la macchina-umanità e delle sue personali vicende come ingranaggi del più vasto meccanismo dell’evoluzione (o involuzione) della storia dell’essere umano. Oppure si può dedicare quel tempo a infilarcisi, in quelle storie. Sfogliando con l’altra mano la Storia.

Profondo conoscitore di prima mano del mondo arabo, e del Medio Oriente in particolare, Carlo Torrisi nei trentasette racconti segue con precisione quei luoghi di cui fa emergere l’eleganza potente e l’accanita bellezza, facendosene attraversare. La musicalità della parola è un arabesco, l’incontro tra le descrizioni di volti, luoghi e tempo e lo scrivere ricorda l’insita poesia che sta nella lingua araba, elementi ineludibili perché parte integrante di vite e storie.
Vite e storie che sono, per forza di cose, universali. Il racconto non si ferma al Medio Oriente ma supera il Mediterraneo fino a raggiungere il nostro paese e l’Europa. È qui che i dolori visibili e concreti di quella sponda (guerre, campi profughi, sangue rappreso e sangue ancora caldo, Kalashnikov e carri armati, scontri fratricidi) si rispecchiano in quelli della nostra sponda: le imposizioni del profitto, le città trasformate da bisogni superficiali, tecnologie che violentano la lentezza dei tempi e dei luoghi.

È un viaggio sofferente quello tra le pagine di Torrisi, intrise di fallimenti e paranoie. C’è la guerra più recente, in Siria, le cui contraddizioni interne vengono mosse da interessi esterni; c’è la povertà dei campi profughi palestinesi in Libano; c’è la natura dei regimi arabi, la cui abissale lontananza dal popolo passa per la descrizione dettagliata di un paio di scarpe. E c’è il regime-Grande fratello che soffoca tanto da arrivare a coprire anche il sole. C’è l’obbligo a migrare e la forza di provare a tornare.

TUTTO È LEGATO da un filo unico, rintracciabile nelle singole storie. Perché se è vero che ogni famiglia è infelice a modo suo, l’infelicità che ha permeato l’ultimo secolo arabo – dalla colonizzazione palese all’indipendenza, dal sogno infranto del panarabismo a una seconda ondata colonizzatrice – non è unica né speciale. L’infelicità araba (espressione coniata dal libanese Samir Kassir) è quella dell’umanità, dei popoli estromessi dal proprio destino. Una internazionalizzazione della sconfitta che potrebbe (e dovrebbe) aprire a una nuova stagione che preveda la condivisione della lotta.

«Piogge giornaliere di globali giocate e private vincite, concentrazione e dispersione, dinamismo statico, cultura millenaria e sintesi moderna. Individualismo collettivo, forma totalizzata delle particelle, il nuovo antichissimo pensiero», scrive Torrisi, in una perfetta descrizione del Medio Oriente del Ventunesimo secolo.
Le vite, spesso surreali, narrate dall’autore con pacato lirismo dispiegano un mondo dalle mille sfaccettature: culturali, a volte oppressive, confessionali, politiche. Gli amori impossibili, i ruoli (diversi e polari) della donna, il ritorno individuale e collettivo alla religiosità in risposta al crollo dei movimenti nazionalisti, panarabi e socialisti, sono lo specchio della Storia degli ultimi decenni. Così da una vita sola o qualche decina di vite si può partire per uno studio degli eventi, dove – di nuovo – siano le singole vicende a far girare la più complessa macchina della Storia.
Storia contemporanea del mondo arabo di Laura Guazzone (Mondadori, pp. 556, euro 38) è il punto di partenza più aggiornato. È un testo destinato agli universitari, ma anche l’occasione per chi voglia approfondire gli eventi che negli ultimi due secoli hanno attraversato, sconvolto, modificato Africa e Medio Oriente. Un viaggio utile a chi oggi cerchi di capire al di là delle semplificazioni che producono stereotipi nel migliore di casi, orrori nel peggiore. A partire dalla facile via dell’eurocentrismo, che l’autrice supera con una prima scelta storiografica: da quale data partire per raccontare il mondo arabo contemporaneo?

LE OPZIONI PIÙ IN VOGA sono, in genere, il 1798 e il 1918. Alla fine del XVIII secolo Napoleone fa il suo ingresso trionfante in Egitto; un secolo e rotti dopo l’impero ottomano implode sulla scia della prima guerra mondiale e delle trame delle potenze coloniali europee che due anni prima si erano divise il Medio Oriente tracciando – con l’accordo Sykes-Picot – famigerate linee tranchant. Due eventi che relegano il mondo arabo a mero spettatore, vittima altrui dell’«espansione extraeuropea del sistema economico capitalistico e del sistema politico degli Stati-nazione». Lo scontro-incontro, come lo definisce Guazzone, tra Occidente e Oriente, muoverebbe l’intera Storia.

Ma la visione può essere altra, mettere al centro un mondo composito e allo stesso tempo «unico»: Guazzone sceglie gli anni Trenta del XIX secolo, l’epoca delle tanzimat, le riforme modernizzatrici interne all’impero ottomano. A dimostrare che il mondo arabo (definizione diversa da quella geografica di Medio Oriente) è una realtà doppia, intrinsecamente contraddittoria e foriera di sviluppi particolari.

È un unicum, nel quale gli eventi che accadono in un paese si riverberano irrimediabilmente sugli altri; ed è un’invenzione, «una comunità immaginata» figlia del nazionalismo novecentesco (traslato nel sogno di Nasser) e delle influenze europee.

DI ESEMPI IL TESTO trabocca, nel percorso dal 1800 ai giorni nostri, quelli ancora caldi della rivoluzione incompiuta – e tuttora in atto – delle «primavere arabe». Uno su tutti, rintracciabile in molti dei capitoli dedicati ai diciotto paesi arabi analizzati, è la questione palestinese, l’evento che forse più di altri per la sua potenza simbolica oltre che fisica (l’arrivo di quasi un milione di profughi nel resto del mondo arabo, oggi diventati sette milioni) ha sconvolto il Medio Oriente dettando alleanze, tradimenti, strategie.

Un testo da leggere e consultare anche per lo spazio dedicato agli sviluppi politici, la nascita delle ideologie (dall’avvento del nazionalismo panarabo al ritorno dell’Islam come modello socio-politico) e la questione economica come motore storico-politico. Lo scontro tra classi, le riforme e le liberalizzazioni, la trasformazione del proletariato e il ruolo della borghesia nelle diverse rivoluzioni dimostrano ancora una volta che la Storia non la fanno solo i governi e i regimi, ma i popoli.