Magari si tratta solo di una lugubre coincidenza. Ma la tragedia di Santiago ricorda molto un altro recente incidente su rotaia in un paese per il quale il treno rappresenta la modernità e il riscatto da quaranta anni di dittatura. Avvenne il 3 luglio di sette anni fa a Valencia, e rischiò di rovinare il business della mediatica visita del Papa Ratzinger di lì a pochi giorni. In quel caso, si trattava di una linea di metro, e la velocità era di 81 km/h in un tratto che invece ne prevedeva 40. La stazione si chiamava Jesús – si chiamava, perché nel frattempo per ingannare la memoria l’avevano ribattezzata Joaquín Sorolla. Solo nel 2012, su insistenza delle vittime della tragedia, si è deciso di recuperare anche la parola Jesús.
Allora il conducente della linea 1 del metro morì nell’incidente, assieme ad altre 42 persone (i feriti furono 47). Ma anche in quel caso fu lui il primo accusato. E anche nell’incidente del metro di Valencia le prime critiche si concentrarono sui sistemi di sicurezza. Guarda caso, i più sofisticati e moderni erano stati installati solo in alcuni punti della linea, mentre nel tratto dove avvenne l’incidente si usava un sistema molto più economico. E questo nonostante il personale avesse chiesto più volte alle ferrovie galiziane (Fgv) di installarlo. Come nella maledetta curva all’entrata di Santiago, anche in quel punto del metro di Valencia non era la prima volta che c’erano stati piccoli incidenti. E i macchinisti avevano già denunciato il pericolo.
Ma non ci fu nulla da fare. Fin da subito i partiti all’opposizione del monocolore popolare che governa la comunità valenziana da decenni accusarono la Generalitat di non aver investito né in infrastrutture né in sicurezza. Secondo i tecnici, sarebbe bastato spendere 3000 euro per una segnalazione in quel punto per evitare la tragedia. Le Fgv scaricarono la colpa sul macchinista e la maggioranza del Pp riuscì a depotenziare la commissione d’inchiesta ad hoc. I giudici archiviarono il caso nel 2008 perché la responsabilità penale si era estinta con la morte del macchinista. Un incidente «imprevisibile e inspiegabile».
I parenti delle vittime si riunirono nell’associazione Víctimas del metro del 3 de julio e il 3 di ogni mese protestano silenziosamente. Hanno raccolto tutto il materiale di denuncia nella pagina www.0responsables.com.
La verità però forse sta per venire a galla. Un’inchiesta dell’aprile di quest’anno del programma televisivo Salvados, ha messo in luce non solo che vennero fatte sparire prove importanti, ma che membri del governo valenziano offrirono lavoro a molti parenti delle vittime perché non denunciassero le Fgv, e i macchinisti e i tecnici, spaventati dai loro capi, vennero esercitati da una compagnia di marketing perché fornissero risposte prefabbricate ai giudici e alla commissione sostenendo l’inevitabilità dell’incidente. A maggio, grazie a Salvados, l’inchiesta è stata riaperta. E magari la verità sarà meno rassicurante di un mero eccesso di velocità.