Che cos’è la sicurezza? Davvero costituisce un problema reale? Come si affronta la domanda di una città più sicura proveniente dal pubblico? Il libro curato da Stefano Anastasia, Polarizzazione sociale e sicurezza urbana (Carocci, pp. 120, euro 15), rappresenta uno strumento agile e denso per addentrarsi nei temi della sicurezza e per trovare le risposte ai quesiti sollevati. A partire da una ricerca sulla sicurezza urbana nella regione Umbria, gli autori forniscono le risposte necessarie ad inquadrare e articolare la questione. Innanzitutto, non esiste un solo tipo di sicurezza, bensì una pluralità di ambiti che possono essere ricondotti alla stessa definizione: la security investe la sicurezza esistenziale, quella di guadagnare e mantenere le risorse necessarie a condurre un’esistenza dignitosa; la certainty si qualifica come una risorsa cognitiva, in quanto consiste nella convinzione di potere prendere la decisione giusta, facendo leva sulla razionalità; infine, esiste la safety, che designa l’incolumità fisica delle persone.

LA SOCIETÀ POSTINDUSTRIALE, orientata verso il consumismo di massa, si caratterizza per uno slittamento dalla security alla safety. I cittadini della società globale, improntata all’individualismo edonista della società dei consumi, scelgono consapevolmente di scambiare la sicurezza dei diritti, intesa come la protezione sociale del welfare e di un lavoro a lungo termine, col diritto alla sicurezza, ovvero, la possibilità di godere della tutela dell’incolumità personale e dei loro beni a sostegno della loro competizione per oltrepassare la soglia dell’inclusione.
In realtà, la coltre individuale, nasconde una voglia di comunità che si esprime, in una società sempre più frammentata, nella costruzione di identità particolari, fittizie, ma polarizzate, spesso non in grado di dialogare tra loro: residenti e users, migranti e cittadini, produttori e consumatori, abitano e attraversano lo stesso spazio, senza riuscire a trovare un denominatore comune, a partire dal quale costruire un discorso condiviso. Al contrario, si generano quei conflitti che sfociano nella creazione di una comunità di complici, che si compatta attorno alla ricerca del capro espiatorio di turno. È in questo scarto tra identità e comunicazione che si situa, come mostrano i dati della ricerca, la differenza tra percezione di insicurezza e pericolo reale.

SE DA UN LATO i dati raccolti dai ricercatori mostrano come in Umbria la criminalità effettiva, sia micro che macro, abbia registrato un calo negli ultimi anni, dall’altro lato il pubblico continua a rappresentare la realtà che vive come problematica e pericolosa, bisognosa di interventi energici, ovvero improntati al binomio di legge e ordine, a discapito dei gruppi sociali e degli individui più marginali.
In questo contesto, la soluzione consiste nel tentativo di articolare, così come si è tentato di fare in Umbria, una sicurezza plurale. Piuttosto che demandare alle sole forze dell’ordine la soluzione delle questioni relative alla sicurezza, si coinvolgono una pluralità di attori nell’elaborazione di strategie condivise: studiosi, associazioni, volontari, cittadini ordinari, servizi sociali, vengono chiamati a compiere lo sforzo di elaborare e implementare una politica locale di sicurezza che soddisfi le aspettative di tutti gli attori, incluse le vittime, per le quali è previsto un programma di risarcimento, e i migranti, a favore dei quali vengono varati progetti di integrazione. Ovviamente, la riuscita a lungo termine della sicurezza plurale, dipende dalle risorse a disposizione. Uscita dalla porta, la sicurezza dei diritti rientra dalla finestra.