Cultura

Quella via tortuosa per trasformare il mondo

Quella via tortuosa per trasformare il mondo

Saggi «Aspettando la rivoluzione», un volume collettivo sul Sessantotto. Interviste immaginarie o reali agli intellettuali che presero parte o appoggiarono il Maggio parigino

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 16 luglio 2015

Uscito nel lontano 1973 con il titolo C’est demain la veille, viene oggi pubblicato in italiano un agevole testo di sintesi del pensiero politico radicale francese contemporaneo, maturato a cavallo del Sessantotto parigino, capace di dare a quel movimento sia sostanza teorica che decifrazione politica. Aspettando la rivoluzione (Res Gestae, euro 14), questo il titolo del testo, è un insieme di interviste, reali e immaginarie, agli autori che riuscirono ad interpretare meglio il fermento di quella generazione, che li coinvolse fino a stravolgere parti rilevanti del loro stesso pensiero. Conversazioni con Michel Foucault, Felix Guattari, Gilles Deleuze, Herbert Marcuse, Henri Lefebvre e altri. Perché oggi ancora sentiamo la necessità di confrontarci con quegli anni e con il pensiero politico prodotto da quelle rivolte studentesche? Perché, nonostante i cinquant’anni passati, sentiamo ancora come inaggirabile la questione posta da quel pensiero radicale, che ruppe con la tradizione marxista non contrapponendogli un diverso «pensiero forte», quanto immaginando vie di fuga alternative alla contraddizione capitale-lavoro e quella tra capitalismo e socialismo? Rispondere a queste domande significa indagare anche gli odierni movimenti sociali, che a quel pensiero ancora in parte si rifanno. Significa investigare l’attualità politica, questa la ragione per cui, decenni dopo, continuiamo ad interessarci a quel sistema socio-culturale partorito dalle rivolte del ’68.

Oltre la gabbia staliniana

La degenerazione della vicenda sovietica, seguita nei diversi contesti nazionali dalla burocratizzazione dei partiti comunisti ad essa legati, determinò uno spaesamento ideologico per cui divenne necessaria, per lo studente-massa affacciatosi nelle società europee nel secondo dopoguerra, l’individuazione di un pensiero davvero rivoluzionario tale da consentire una critica al capitalismo che non riconducesse però al socialismo reale. Se il marxismo era l’ideologia ufficiale tanto dell’Urss quanto dei partiti comunisti europei, superare il marxismo divenne uno dei tratti unificanti del nuovo pensiero radicale. Tale direzione, tipica di quasi tutti gli altri contesti nazionali europei, trovò in Francia il terreno fertile per una sua sistematizzazione ideologica più coerente.
A differenza del Pci, il Partito comunista francese veniva considerato molto più «sclerotizzato» nella sua adesione al marxismo-leninismo di stampo staliniano, piegato culturalmente alle direttive di Mosca, incapace di un vero dibattito interno volto a cogliere la novità del Sessantotto. Liberarsi dalla gabbia dell’ufficialità sovietica divenne per quegli studenti la conditio sine qua non per poter affermare una propria identità rivoluzionaria che facesse i conti anche con il comunismo «ufficiale».

Accomunati nei loro tratti autoritari e burocratici tanto il capitalismo occidentale quanto il socialismo sovietico, determinati autori spostarono il tiro dall’anticapitalismo ad un antiautoritarismo capace di rispondere più in profondità alle esigenze del Sessantotto francese. La lotta alla gerarchizzazione sociale, le analisi sul potere e sui suoi dispositivi di controllo, rappresentarono allora il cuore del nuovo pensiero radicale. A Marx, autore sempre rilevante, venne affiancato Nietzsche quale rappresentante di un pensiero antiautoritario, capace di servire a un movimento in lotta contro il potere, non più solo capitalista quanto pervasivo di ogni aspetto della condizione sociale dell’uomo.

Inutile, in questo senso, perseverare nelle teorie generali, nelle astrazioni politiche, reiterando metafisiche che si sono dimostrate velleitarie quanto il potere che si voleva combattere. «Occorre rinunciare alla teoria e al discorso generale. Questo bisogno di teoria fa ancora parte di questo sistema con cui si vuole chiudere la partita», afferma Foucault nel testo, a cui risponde Marcuse poco più avanti: «Nulla è meno borghese del movimento studentesco americano, nulla è più borghese di un operaio americano», chiarendo il concetto che non è più nei rapporti di produzione (o, almeno, non più esclusivamente lì) che si situano le contraddizioni principali della società.

In mezzo al guado

Un pensiero libertario rispondente alle urgenze di una mobilitazione studentesca che però non riuscì ad interagire con altri settori sociali rilevanti, almeno in Francia. Quasi mezzo secolo dopo, i fondamentali contributi sul potere e le sue «microfisiche» di tali autori sembrano rimanere in mezzo a un guado: capaci di liberare energie intellettuali per generazioni sempre più insoddisfatte e precarizzate, continuano a rappresentare tendenze culturali in sostanza minoritarie, che non riescono a coinvolgere pezzi di società se non quelli direttamente mobilitati. Un’impossibile egemonia che invece costituiva il tratto caratteristico del marxismo «ufficiale», sempre meno in grado di cogliere le novità sociali nelle società postindustriali ma capace di esercitare un’egemonia culturale tale da imporsi come controparte politica credibile. L’incontro di queste due tendenze è ancora oggi il terreno su cui sperimentare percorsi di partecipazione politica.

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