Troppo presto, a poco più di quarant’anni a inizio degli anni 90, se ne è andato Thierry Salmon, un vero genio del teatro che era riuscito fin da giovanissimo a dimostrare non solo talento, ma intelligenza, cultura e sensibilità non comuni. Tra le suggestioni forti che ci ha lasciato (oltre a memorabili A. da Agatha di Duras in una platea avvolta in candidi simulacri, una Signorina Else dentro una radio, Passion dai Demoni dostoievskiani, un grandioso Assalto al cielo dalla Pentesilea di Kleist), la sua opera più sconvolgente resta Le Troiane nella lingua originale di Euripide, messa in musica da Giovanna Marini, e giocata da 35 interpreti di diversa provenienza europea e africana sul Cretto di Burri a Gibellina vecchia: quel titolo è entrato nella odierna mitologia del teatro. Ora, 30 anni dopo, Claudio Bernardo, coreografo brasiliano d’origine e belga d’adozione, attorno a quelle Troiane lavora a un progetto pluriennale, di cui ha debuttato a Rovereto, per la rassegna Oriente Occidente, la terza tranche, titolo Frontiera (debutto definitivo previsto tra un anno al Teatro di Liegi).
Salmon si rivela ora anche artista di profetico respiro: quella tragedia di donne che in quel modo, aggrappate alla loro lingua e alla loro cultura, mentre partivano come schiave violate per oltre il mare, avvolte solo nelle loro coperte, dopo il crollo della loro patria, sembrava, in quella di terra di terremoto che le spingeva via, una premonizione di oscuro futuro. Che oggi Bernardo ci rivela e dispiega nella drammatica realtà di oggi. Infatti, usando un «espediente» di sdoppiamento in scena tra attrici e danzatrici attorno a un personaggio (simile allo sdoppiamento cantanti/danzatori nelle tanz oper di Pina Bausch) suono delle parole e movimenti del corpo, costituiscono con forza l’unitario tono tragico di quelle donne.

IL CUI ORIZZONTE si disvela attraverso immagini filmate che abbracciano e assediano loro e noi spettatori. La prospettiva di quelle donne è il mare, sordo e aperto, verso le isole greche come potrebbero essere Samo e Lesbo, dove oggi cercano di sbarcare i migranti in fuga attraverso l’Asia minore, nei territori dove Schliemann ci ha dimostrato si ergesse Troia. Come più a ovest, dalle coste africane, si vedono Malta e Lampedusa…

È UN GRANDE colpo al cuore di noi spettatori quella «rivelazione»: il mito ci scopre la storia, costretti quasi a unirci muti al coro di quelle donne. Le note barbariche di Giovanna Marini, che quelle donne intonano disperate e solenni, scoprono discorsi e sentimenti di profondità viscerale che molti non vorrebbero udire e neanche immaginare. Un’emozione violenta torna a dare un senso e una funzione pregnante alla tragedia classica davanti a noi. Bernardo poi, autore e coreografo della rappresentazione, ha voluto richiamare alcune delle attrici che lavorarono con Salmon, e così ritroviamo Maria Grazia Mandruzzato come Ecuba, Maria Carmela Locantore/Elena, Cecile Kankonda/Andromaca (e c’è anche Marie Bach che era Astianatte con Salmon, ora assistente alle coreografie). Gli anni passati, per loro e per noi, hanno solo il peso della maggiore consapevolezza con cui ci trasmettono la tragedia, di ieri e di oggi. Per il resto si è accresciuta l’energia, la disperazione, la fierezza e la maturità di portarci quelle parole e quelle immagini. La loro statuaria autorevolezza (ma anche una accresciuta elaborazione drammatica) ci parlano ora di esilio e migrazione, e di perdita di identità e di radici. Proprio come Euripide agli ateniesi, e come Salmon trent’anni fa. Ma che oggi noi vediamo ogni giorno nelle cronache di morte e violenza che dal mare attorno a noi ci giungono. E il titolo di quanto abbiamo visto a Rovereto è davvero una Frontiera, quella della civiltà.