Siamo donne che ogni giorno lavorano con e per le donne, per sostenerle nel difficile processo di uscita da relazioni affettive divenute tossiche, per via di partner – maschi alfa, perfettamente integrati, socialmente presentabili, culturalmente idonei – che si riconoscono nella narrazione socialmente diffusa della disparità tra i sessi e della differenza di potere tra uomini e donne che segna la cultura patriarcale. 

Sappiamo bene che il binarismo imposto, la predestinazione dei ruoli individuali dentro al determinismo biologico, le differenze nei processi di autoidentificazione maschile/femminile sono il brodo di cultura di tutte le violenze, e rappresentano gli assi portanti del potere patriarcale.

Da operatrici antiviolenza e da femministe vogliamo prendere parola in merito al delirante e fuorviante dibattito che in questi giorni sta accompagnando un disegno di legge, tanto semplice quanto discusso, come il Ddl Zan.

Lo vogliamo fare, a questo punto, uscendo dal merito strettissimo delle disposizioni normative (sulle quali ci siamo più volte espresse pubblicamente, giudicandole in maniera positiva) per agganciarci alle critiche che arrivano da parti diverse sul “pericolo trans” e proporre dunque la lettura che gran parte delle femministe condivide, sicuramente con meno riflettori puntati, o comunque ricercando assai di meno gli spot della informazione generalista.

Quella torta (piccola) dei diritti, che concepisce un numero finito di possibilità, da contendersi tra categorie di esseri umani, è un’idea sbagliata, che va respinta e combattuta, perché nel definire i confini delle fette di diritti da spartire, finisce per discriminare e procedere per approssimazione alle più aberranti differenziazioni.

La pretesa di voler difendere una identità femminile contro quella di genere, sostanziata dal timore di vedere i propri diritti ridotti dall’acquisizione di nuovi diritti da parte di persone trans, sotterra e asfalta decenni di lotte femministe di emancipazione e di liberazione dei nostri corpi. Cancella altresì l’evidenza di una violenza strutturale che invece è proprio sul sistema binario che poggia la sua forza. 

La battaglia per la definizione del sé, fuori dagli schemi voluti dal patriarcato, da padri, mariti, fratelli e giudici è pars construens della storia del femminismo Abbiamo rivendicato negli anni l’autonomia a scegliere da sole come costruirsi la vita, gli affetti, gli amori, le famiglie, il sé. E da femministe, forti delle storie di chi ci ha precedute, dei diritti conquistati, come possiamo metterci nella posizione di negare ad altr* il proprio diritto ad autodeterminarsi? Come possiamo, forti delle lotte fatte per il riconoscimento della violenza maschile sulle donne, che ha significato – e significa – strappare al silenzio esistenze dilaniate dalla sopraffazione, negare ad altre identità sessuate la tutela dello stato di diritto? Come possiamo negare loro persino la parola?

Da femministe crediamo che sia proprio quella imposizione di un’identità di genere e di ruolo che genera violenza quotidiana, contro donne, contro trans, lesbiche e gay. Dunque, in cammino da anni sul terreno dei diritti e dell’autodeterminazione, crediamo che il tema dell’identità di genere sia fondamentale per combattere per tutte e tutti ogni forma di discriminazione, e moltiplicare i diritti estendendoli ad oltranza oltre i confini del sesso costituito.