Leggendo l’ultimo lavoro del fisico teorico Ignazio Licata – Complessità, un’introduzione semplice (Di Renzo Editore, pp.184, euro 16 – verrebbe da dire, in estrema sintesi, che ognuno esplora i territori che si merita.
Le vicende che portarono al collasso delle esperienze amministrative delle giunte romane, che andarono dagli ’80 al primo quindicennio di questo secolo, ci svelarono l’esistenza di una «terra di mezzo» nella quale poteri esistenti e mondo criminale avevano una zona franca, un terreno di «comunione di interessi».

Anche Licata, in avvio del suo lavoro, indaga su l’esistenza di una «terra di mezzo»: uno «spazio» definito da un approccio di risonanza tra le dinamiche che si generano nell’evoluzione di sistemi caratterizzati da «comportamenti collettivi emergenti», un territorio che, indagando gli «aspetti cognitivi e sociali della produzione di conoscenza» costruisce una ipotesi di «relazione critica tra epistemologie e gestione dei sistemi socio-economici».
Ecco, Ignazio Licata, in questo suo rinnovato lavoro sulla complessità, – un felice aggiornamento di un prezioso lavoro del fisico teorico del 2011 e che, stavolta, si avvale di una importante prefazione di Silvano Tagliagambe – pone diverse questioni che riguardano non solo la scienza, come modello di acquisizioni di conoscenza sul reale, ma soprattutto la politica che, se non poggia su solide capacità di interpretazione (e quindi possibilità anticipatorie), sbanda senza più rotta sulla quale far convogliare una propria creazione di senso.

LA PERMANENTE CULTURA di fondo di stampo positivistico delle culture politiche – di tutte le collocazioni -, infatti, con il pretesto di essere concrete e rispondere ai bisogni e «agli umori della gente», risulta uno stanco e scontato teatrino in mano alle dinamiche di una finanza che poggia sugli esiti industriali della tecnoscienza. Un movimento caotico e senza una finalità diversa da quella dell’aumento dei consumi (ovviamente, sempre più disegualmente distribuito).
Adorno aveva ammonito, già nel secolo scorso e ben prima che i processi di digitalizzazione rompessero la diga per invadere il corpo sociale, che «la sinistra non sarebbe potuta esistere sotto il livello raggiunto dalla tecnica». Licata offre una prospettiva in base alla quale nulla è meccanicamente dato e che l’approccio economicista che riduce l’uomo al suo avatar di consumatore, risulta un riduzionismo fallace e incapace di produrre un qualunque reale cambiamento.

IL LIBRO AFFRONTA anche il tema dei cambiamenti che la tecnoscienza produce e subisce per se stessa. Le tecniche digitali, infatti, hanno mutato da tempo il rapporto tra idee, ricerca e sperimentazione con le tecniche di simulazione. Da un lato, infatti, la simulazione ha reso possibile una esplosione di verifiche «sperimentali» a basso costo, dall’altro il lavoro con processi di riduzionismo sperimentale, può inficiarne percorsi e risultati.
Licata, però, va oltre. Il nuovo settore dei Big Data, nato con Internet, ma esploso con l’arrivo dei social, ha innescato una ulteriore modalità di costruzione dei processi di conoscenza. La loro logica, infatti, è quella di «sommare tante più capre a tanti più cavoli possibile», affidando a algoritmi la possibilità di estrazione di legami, leggi, relazioni che, in partenza, non sarebbe stato possibile immaginare, né si pensava di cercare. Le ipotesi di ricerca traslano, come le ultime tendenze del marketing fanno per i comportamenti di consumo che divengono input aziendali, nei dati. E da essi possono emergere idee e soluzioni inaspettate.

LA COMPLESSITÀ che emerge dal quadro inchioda la forma della politica del ’900. La società non può più essere ridotta alla mera evidenziazione dei possessi, ma diviene la strutturazione dei processi e, in primo luogo, questo riguarda l’impatto che il fare umano ha sul pianeta e la sua sostenibilità. Licata cita un quantum veritatis di Max Planck che suona: «Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari».
Questa campana, anche stavolta, suona per tutti e suona nella complessità delle terre di mezzo.