«Stavolta ci chiameremo Blake» dice il marito alla famigliola, la bionda moglie che non passa inosservata, e i due figli adolescenti, Bella (Dianna Agron) e Warren (John Di Leo) ai quali l’idea di lasciare la Costa azzurra per un paesino della Normandia non piace per niente. In più nel nuovo posto tutti li guardano male, sono americani e, solo perché ci hanno liberato pensano di permettersi tutto, chiosa la signora francese con l’acidità della provincia notoriamente insopportabile.

A scuola il ragazzo si fa picchiare dai bulli strategicamente, difatti in una settimana diventa il capo di ogni business losco. La sorella, quando i foruncolosi ragazzotti che le sbavano dietro provano a metterle le mani addosso, li stende a suon di mazzate. La sua prima volta sarà con chi dice lei, dunque con quel freddino professore francese supplente di matematica, tipologia che dopo sparisce con un: «on s’appelle». La mamma intanto fa esplodere il negozio di alimentari col padrone supponente … È che i Blake sono una potente famiglia mafiosa, sotto un programma di protezione da quando il padre (Robert De Niro), più noto nell’ambiente come Giovanni Manzoni, ha denunciato gli altri boss mandandoli in galera da dove gli hanno giurato una terribile vendetta. Così un poliziotto (Tommy Lee Jones) è costretto a occuparsi di loro.

Cose nostre-Malavita (The Family) è stato girato dal regista francese in gran parte nella sua Cité du Cinéma, il complesso cinematografico inaugurato lo scorso anno a Saint Denis, in una ex centrale termica, che nelle ambizioni del regista dovrebbe diventare la Hollywood sulla Senna. Besson si basa su uno dei romanzi di punta (è stato ripubblicato per l’occasione da Ponte delle Grazie, merita la lettura) di Tonino Benacquista, lo scrittore di origini italiane che, come si legge nella sua biografia, prima di diventare autore vendutissimo di noir e polizieschi oltralpe, è stato cuccettista e pizzaiolo.

L’idea è divertente, e con attori come Pfeiffer e De Niro poteva essere esplosiva: giocare col genere, prendendo in giro stereotipi e abitudini (soprattutto da serie tv) radicate intorno all’iconografia dei mafiosi, dell’italoamericano, dei francesi, e più in genere dei rapporti di immaginario (ma non solo) tra America e Vecchio Continente – il titolo originale del romanzo di Benacqueista è Badfellas.
De Niro soprattutto ammicca ai suoi ruoli esplicitamente – a un certo punto viene invitato a presentare Quei bravi ragazzi al cineclub locale mentre fuori infuria il regolamento di conti – Scorsese è tra i produttori esecutivi. Besson però non ha la leggerezza necessaria a maneggiare una materia così deflagrante come l’immaginario.

Dove ironia e rovesciamento delle rapparesentazione hanno bisogno di uno sguardo sensibile, inventino e rispettosamente amoroso che lui non sembra mostrare. Tutto è lì, messo in evidenza con chiarezza che inchioda, persino i passaggi più scassati. Anche se poi gli attori a volte sfuggono alle sue conclusioni – e nei duetti familiari fanno ridere producendo quel «metagenere» che il regista cerca.

A volte addiruttura le superano, e se le gettano alle spalle – pensiamo alla scena del barbecue di benvenuto alla città o al suicidio della ragazza che tutto è meno che l’americana naif – con sorprendenti fughe che spiazzano il ritmo. Ma il film rimane fermo come le sue ambizioni.