Anni ‘30, la costruzione dell’Italia unita del cibo è in pieno fermento. Il viaggio, la scoperta di un bel Paese insolito e fuori dal comune è diventato il gioco preferito di giornalisti e scrittori. Nel 1935 esce Il ghiottone errante, viaggio gastronomico attraverso l’Italia, illustrato da Giuseppe Novello, pietra miliare del racconto di viaggio alla ricerca del cibo genuino. L’autore è Paolo Monelli, giornalista col monocolo, galantuomo d’altri tempi, irriducibile buongustaio. Il volume esce per Treves e raccoglie gli articoli usciti per la Gazzetta del Popolo l’anno precedente, la struttura del libro risente molto dell’origine giornalistica, ogni articolo infatti diventa un capitolo, nella tipica struttura a blocchi del racconto di viaggio anni ’30. Proprio questa struttura però rende il testo particolarmente adatto alla consultazione attraverso segmenti di interesse, quasi come fosse una guida.

 

I protagonisti del viaggio sono l’autore e il fido compagno Novello, amici fin dai tempi della guerra. Entrambi alpini come Don Chisciotte e Sancho Panza del cibo non potrebbero essere più diversi. Monelli è un grande intenditore di vini, un buongustaio, curioso e appassionato, che ama scoprire sempre nuovi piatti, Novello invece è astemio, sopraffino intenditore di acque minerali, che si commuove solo davanti ai dolci siciliani. Novello è quindi l’antieroe gastronomico di un viaggio che fin dall’esordio viene presentato come un’impresa bellica, una guerra da vincere, in cui l’unico combattente ed eroe è Monelli, abbandonato dal debole compagno. La coppia comica torna nelle illustrazioni e prende vita: tanto l’artista è stralunato e spaesato, quanto Monelli è deciso e risoluto, l’espressione arcigna, sempre al lavoro, sempre alla ricerca dell’aggettivo perfetto.

 

Il punto di vista del viaggiatore narratore è estremamente soggettivo, tutto viene filtrato non solo attraverso gli occhi, ma anche attraverso l’olfatto, e soprattutto il gusto. Nel Ghiottone il mondo si osserva sub specie culinae. Monelli ci racconta una realtà trasfigurante, vivace e cangiante, fluida, in continuo movimento e metamorfosi. Dal cibo tutto nasce e al cibo tutto torna. Il paesaggio diventa cibo, il cibo diventa persona, la natura si fa ingrediente. Prepotente e persistente la focaccia della Maremma è composta da «farina di scoglio, impastata con il salmastro di cento lagune, con l’asfalto di cento autostrade, con l’alito della banchiglia polare densa di foche».
Nel viaggio bisogna stare leggeri, abbandonare il superfluo, storia, arte, monumenti vengono tralasciati, a meno che non abbiano diretta attinenza con qualche prelibatezza. Anche le guide rimangono a casa, solo i sacri testi del ghiottone entrano in valigia: Osteria di Hans Barth e la Guida gastronomica d’Italia del Touring.

 

Il tono del racconto è umoristico: l’ironia, le esagerazioni iperboliche, l’enfasi legata alla fatica della missione da compiere, sono gli ingredienti del racconto, esaltati dalle illustrazioni di Novello, efficaci e divertenti, taglienti al punto giusto, la satira bonaria di un astemio stomacuzzo nei confronti di tutti i ghiottoni d’Italia.

 

 

10VISSINciboghiottone-1

Il racconto procede dinamico, in una continua combinazione di stili e linguaggi, con una commistione costante di registri, alto e basso si mescolano, citazioni colte e lingue antiche sono a servizio del cibo, in un’ottica spiccatamente corporea e materica. Un’attenzione maniacale per la parola, per il suo valore fonico, spinge l’autore a una ricerca a volte esasperata, a un continuo lavoro di cesello.

 

Questo viaggio umoristico ha però una missione nobile: far conoscere le innumerevoli specialità italiane e i vini degni di essere bevuti. Il ghiottone errante nasce dall’idea, già diffusa dalla Guida gastronomica del Touring del 1931, che il cibo sia rappresentativo di un luogo tanto quanto i suoi monumenti, per questo vale la pena mettersi in viaggio per scoprirlo e farlo conoscere; parte integrante e fondante della cultura e della tradizione, il cibo costruisce identità. Secoli di frammentazione geopolitica hanno fatto sì che l’Italia si configurasse come un paese diversificato in quanto a cultura, tradizioni, correnti artistiche, lingua e naturalmente anche gastronomia. Il compito di Monelli è dar conto di questa diversità che spesso si manifesta anche nel raggio di pochi chilometri.

 

Monelli capisce, in anticipo sui tempi, il valore culturale del cibo e del vino e il suo legame indissolubile con la terra che lo produce: conoscendo un piatto o un vino è anche possibile conoscere qualcosa di profondo sul popolo che gli ha dato vita: «Tutto sommato, questa cucina si capisce che è quella che ci vuole per creare quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. Gli uberi formaggi e il delicato burro si alleano con le sapide carni, col riso caro ai medici, a dare ai lombardi tenacia al lavoro e vivacità agli svaghi romorosi”.

 

Ogni regione ha una sua caratteristica indole e quindi un cibo che le assomiglia, ogni piatto tipico è espressione di una tradizione, di una storia e di una specifica geografia, perché è frutto di un ambiente con determinate caratteristiche morfologiche. Proprio per questa sua sensibilità e per una passione personale per la linguistica, Monelli rispetta anche la lingua del cibo, il dialetto. Inserire frasi, nomi, sonetti dialettali rientra nell’operazione di valorizzazione del patrimonio culinario italiano fatto di cento e cento specialità a cui Morelli decide di dare pari voce.

 

E questa attenzione nell’indagine gastronomica insieme alla libertà di confronto col cibo e col suo farsi cultura, sono gli elementi che rendono Il Ghiottone errante un testo ancora attuale, che vale la pena di essere letto.