La morte di George Steiner mi coglie di sorpresa. Sono tanti anni che non lo vedo e forse non lo penso, ma ora, leggendo la sua intervista postuma, il suo soggiorno senese riaffiora all’improvviso. Quando insegnavo all’Università di Siena, lo invitai per qualche settimana a tenere alcune lezioni. Fu un periodo bellissimo. Gli studenti sedevano in un silenzio affascinato. I docenti per lo più lo ‘snobbarono’, come gli capita di fare, ma ricordo Romano Luperini e Laura Barile accovacciati in un angolo della classe gremita ad ascoltare. Prima di venire mi chiese che cosa pensavo del suo italiano. Risposi che lo trovavo ‘creativo’, ma non sembra per fortuna che questo lo scoraggiasse. Non ricordo l’anno, ma so che il tema furono le Sirene, su cui stava lavorando.

Era venuto accompagnato, se non capisco male, proprio dalla persona che non nomina nella sua intervista, e che non nominerò neanch’io, e con la quale vi era un’intesa di una dolcezza pacata. Questo fatto mi relegò fra le conoscenze che non avrebbe potuto incontrare a Cambridge. Ma le chiacchierate, le passeggiate, le cene furono un piacere quasi ininterrotto. Quasi, perché fui una sera vittima di uno dei suoi furori veloci come un tuono. Parlava di Mussolini, Hitler e Churchill e di quello che lui e tanti come lui dovevano all’Inghilterra e io, in modo malaccorto, accennai a quello che avevo sentito con poca precisione, e cioè che Mussolini, prima di allearsi con Hitler, si era rivolto a Churchill per avvertirlo del pericolo che rappresentava; e che Churchill non lo aveva ascoltato (sembra invece che sia stato Ciano e non Mussolini, con la mediazione di un principe siciliano, come racconta Ottavia Casagrande); Steiner mi fulminò con una rabbia rovente, che ancora brucia un po’.

Ma ho ricordi più lieti. Silvia Ronchey, che insegnava a Siena come me, invitò in quello stesso periodo James Hillman e i due non vedevano l’ora di incontrarsi una sera per parlare insieme.

La vita notturna di Siena, e buona parte di quella diurna, era allora sotto il regno felice del politalentuoso notaio Nanni Guiso, che propose di organizzare una cena per entrambi nella sua bellissima Villa L’Apparita, nei pressi di Siena. La cena fu squisita come ogni gesto e parola del padrone di casa e degli ospiti, solo che si svolse su due tavoli, uno capeggiato da me e Steiner, l’altro da Silvia e Hillman, così che i due non poterono scambiare una parola.

Rimediammo la sera dopo con una più modesta trattoria, ma quella cena rimase un esempio di come la letteratura, la fama e la grazia si possono incontrare nella leggerezza e tessere più un incanto che una conversazione.

Vorrei ricordarmi di più, ma sembra chi gli incontri siano sempre l’origine di un rimpianto, e mi colpisce che Steiner, nella sua intervista postuma rammenti tanto gli errori commessi, le occasioni mancate.. Ma che altro è la vita, dopo tutto?