Due righe di comunicato del Miur ieri hanno gettato acqua sul fuoco delle polemiche divampate nel fine settimana sul disegno di legge delega, collegato alla legge di stabilità, a proposito di scuola e l’università. Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza aveva annunciato una riforma della riforma Gelmini già in prossimità dell’inizio di quest’anno scolastico. Dopo l’annuncio è cresciuto un fronte allarmatissimo contro un provvedimento presentato in sordina nel Consiglio dei Ministri dell’8 novembre scorso. In quella sede il testo aveva suscitato diverse perplessità considerata l’ampiezza delle materie trattate che avrebbero richiesto una legge ordinaria adottata dal Parlamento.

Nel comunicato, il Miur considera il testo della bozza «del tutto superato». Dopo soli 11 giorni, il frullatore della burocrazia ministeriale ha raggiunto un nuovo record. Ciò potrebbe significare l’avvio di una consultazione tra le parti interessate. Stando ad alcune indiscrezioni trapelate a mezzo di agenzia, questo sarebbe il progetto del ministro. Ma per molti c’è anche la possibilità che sia in preparazione un’altra versione del testo piena di novità sgradite ad un mondo prostrato dall’elefantiaca riforma Gelmini.

Questo clima pessimistico è alimentato dagli esiti di una ventennale strategia «riformista» che ha rovesciato l’impianto humboldtiano dell’organizzazione dei saperi e della loro trasmissione nella scuola e nell’università pubblica di massa, trasformandole nell’attuale sistema merceologico di scambio tra crediti e debiti, governato da un imponente sistema di valutazione punitiva e meritocratica.
Dicono per favorire la «competizione» tra atenei o ricercatori. In realtà, questa idea neoliberale si è presto rivelata come il fallimento della «produttività» dei laureati incarnata nella loro disoccupazione o precarietà di massa. Senza contare l’espulsione di migliaia di precari della ricerca, che ormai si contano con il contagocce. La ricerca e la didattica sono state trasformate in un inferno penitenziale i cui tempi vengono scanditi impietosamente da una burocrazia manageriale di Stato.
Il peggio è dunque sempre alle porte. Anche perché il governo non ha detto se rinuncerà allo schema della legge delega, che permette di bypassare il parlamento dove esiste una maggioranza depurata opportunisticamente dalle scorie ufficiali del berlusconismo. Ma dove, davanti ad un provvedimento monstre come una nuova riforma dell’istruzione tutto può accadere.

La bozza che ha provocato l’allarme del Coordinamento Nazionale per la scuola della Costituzione, dei sindacati (Gilda, Flc-Cgil, Anief e tutte le sigle sindacali che da ieri fino al 23 si mobiliteranno negli atenei), gli studenti della Rete della conoscenza e dell’Udu, prevede una miriade di misure. Tra l’altro, si prevede una «riforma organica del reclutamento del personale docente» e uno «smaltimento» del precariato scolastico. In mancanza di veri finanziamenti, a ripianare i 10 miliardi di euro di tagli, tutti hanno pensato al recente «concorsone» che non ha permesso l’assunzione della quota stabilita dei docenti vincitori. C’è poi il progetto di ridurre gli organi collegiali della scuola e meri organi consultivi, un’idea già presente nel Ddl Aprea ritirato dopo le manifestazioni degli studenti medi nel 2012.

Il testo «superato» della riforma prevede la riduzione dei controlli preventivi di legittimità e dei vincoli al reclutamento, l’incentivazione dei finanziamenti privati, l’incentivazione di finanziamenti europei e, soprattutto, la riduzione dei ricercatori e degli assegnisti. Come se quelli persi nel frattempo non siano stati abbastanza.