Le ondate di Covid-19. Le ondate di calore. Il vaiolo delle scimmie. Gli incendi apocalittici. Le epidemie e mutamento climatico si litigano lo spazio sui giornali, tanto che le crisi di governo sembrano intermezzi rilassanti al limite del soporifero. La coincidenza temporale delle emergenze sanitarie ed ambientali non è casuale. Tra crisi climatica e rischio epidemico un legame c’è. In alcuni casi, il nesso è causale. Si prenda il West Nile Virus, che venerdì ha ucciso un ottantatreenne in Veneto, il primo dal 2020. Alle nostre latitudini il virus è presente solo dal 1998 e il riscaldamento globale è il principale indiziato per la sua propagazione. La diffusione della zanzara che trasporta il virus accelera con l’aumento delle temperature e le anomalie delle precipitazioni, siano esse siccità o grandi piogge. La morte dell’anziano non è un caso così raro. Ogni anno sono decine i casi di West Nile – che in una minoranza di casi può dare sintomi gravi – sul nostro territorio. Nel solo 2018, l’anno peggiore, si contarono 606 casi e 49 decessi.

In altri casi, la relazione tra cambiamento climatico e «salto di specie» – il passaggio da un animale all’essere umano di un patogeno, il primo passo per lo sviluppo di un’epidemia – è più difficile da stabilire, perché gli ecosistemi di cui facciamo parte noi, gli animali e i microbi sono assai complessi.

La statistica empirica suggerisce che l’emergenza clima e quella epidemiologica vadano di pari passo. Mercoledì scorso, la sezione africana dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato un’analisi secondo cui solo in Africa nel decennio 2012-2022 i salti di specie segnalati sono aumentati del 63% rispetto al decennio precedente, mentre la popolazione è cresciuta del 28%. Nello stesso periodo sono aumentate sia la temperatura che la frequenza degli eventi meteorologici estremi. I modelli degli ecologi prevedono che il riscaldamento globale spinga gli animali a quote più elevate alla ricerca di climi più freschi. Questo aumenta la probabilità di incontri tra specie dapprima separate. L’occasione perfetta affinché un patogeno trovi una popolazione «vergine» in cui diffondersi e, eventualmente, attraverso la quale raggiungerci. Per quanto ben fondate, tuttavia, si tratta per ora di ipotesi.

La coincidenza tra due fenomeni non basta per stabilire che l’uno sia all’origine dell’altro. Un motto diffuso tra i ricercatori recita «la correlazione non equivale alla causalità». Ciò non esclude che mutamento climatico e rischio epidemico siano interdipendenti. I due fenomeni potrebbero presentarsi contemporaneamente in quanto provocati da un’unica causa. Nel caso delle zoonosi e del clima, l’origine comune potrebbe chiamarsi «sfruttamento della terra». La deforestazione contribuisce al riscaldamento climatico, in quanto gli alberi sono un serbatoio naturale di anidride carbonica sottratta all’atmosfera. Allo stesso tempo, l’assedio alle foreste mette a contatto le specie che ci vivono da sempre con umani e animali da allevamento. Nel 2021 si sono persi 4 milioni di ettari di foresta pluviale soprattutto in Brasile, Repubblica Democratica del Congo, Bolivia e Indonesia, per allargare i terreni agricoli e i pascoli per l’allevamento.

Oggi gli scienziati sono in grado di valutare con buona approssimazione le aree più a rischio di salto di specie a partire dallo stato di deforestazione. I dati sul campo confermano l’ipotesi di un legame stretto tra sfruttamento dei suoli e salti di specie. Dalle aree più colpite dal fenomeno della deforestazione è arrivato in Europa il vaiolo delle scimmie, che nell’Unione Europea ha causato finora quasi ottomila casi ma è endemico in Nigeria.

C’è forse un salto di specie anche all’origine dei due casi del virus Marburg – simile a Ebola – registrati in Ghana e confermati ieri dall’Oms. Sono i primi nella storia del Paese. Il virus è diffuso nei «pipistrelli della frutta» che vivono nelle foreste dell’Africa occidentale e centrale, Ghana compreso. Secondo il Global Forest Watch, tra il 2001 e il 2021 il Paese ha perso un quinto della superficie boschiva.