«Un’ossessione non è un’emergenza ci devi convivere tutta la vita». Nelle strade di New York shopping bag, cane lupo al guinzaglio e fidanzato che arranca balbettando la frase sbagliata l’analista, scatenata Jennifer Aniston, aggredisce l’ennesimo paziente ereditato dalla madre in disintossicazione, un vecchio giudice ossessionato da una giovane call girl che ha il dono di farlo sentire speciale. Lei si chiama Izzy, o Glo Sticks come la conosce lui, è una ragazza bionda, vive a Brooklyn fa la squillo e sogna di essere attrice. Adora Marilyn ma il suo mito è l’irresistibile Holly Golightly di Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. She’s Funny That Way, diventato in italiano Tutto può accadere a Broadway, è il ritorno al cinema dopo tredici anni (l’ultima volta era stata con Hollywood Confindential) di Peter Bogdanovich, autore anche della sceneggiatura insieme alla moglie Louise Stratten, sorella di Dorothy, la prima moglie del regista, protagonista di … e tutti risero uccisa dall’ ex dopo che aveva scoperto la sua relazione con il regista. Il quale distrutto dal dolore, aveva ipotecato la sua villa a Bel-Air per ricomprare il film, e distribuirlo lui stesso per cinque milioni di dollari – la storia l’ha raccontata in un libro portato sullo schermo da Bob Fosse con Star 80.

Tutto può accadere a Broadway, uno dei migliori titoli alla Mostra di Venezia dello scorso anno, 2014, arriva solo adesso nelle nostre sale, meglio tardi che mai viene da dire nonostante la poca simpatia per i vecchi proverbi, perché è un film magnifico e commuovente, da non perdere. Prodotto da Wes Anderson e Noah Baumbach, da sempre fan di Bogdanovich, un cast di nomi eccellenti – oltre Aniston Owen Wilson, la bellissima Imogen Poots nel ruolo di Izzy, il Will Forte di Nebraska, Rhys Ifans – e punteggiato dai camei degli amici del regista come Quentin Tarantino, Michael Shannon, Tatum O’Neal, Cybille Sheherd, Colleen Camp – c’è pure il geniale Austin Pendleton, star di Ma papà ti manda sola? e di altre commedie anni 70 –Tutto può accadere a Broadway è un omaggio alla screwball comedy di gag, equivoci, battute e battibecchi. A Hawks e a Ernest Lubistsch che attraversa il film, e lo chiude con alcuni fotogrammi «presi» da Cluny Brown (Fra le tue braccia), e alla cinefilia amorosa come quella del regista (Buster Keaton, Renoir, Psycho tra i suoi altri amori) con lo special guest a sorpresa nel finale.

La «She» del titolo originale è appunto Izzy Flinkstein divenuta Isabelle Patterson – per recuperare la parte dolce di sé come ama dire – stella hollywoodiana (o meglio ancora «celebrities») in ascesa che racconta la sua storia a una pungente giornalista. E tra i flashback dei suoi turbolenti esordi mescola osservazioni sulla vita, sul caso, sull’amore, sui sogni. Magari ogni tanto eccede però, come ribatte alle ironie dell’intervistatrice la memoria non è una videocamera. La sua, e con lei quella di Bogdanovich, è piuttosto una continua dichiarazione d’amore al cinema classico, al gioco di attori, a quell’epoca d’oro di Hollywood che per il regista de L’ultimo spettacolo è stato il momento più alto nell’immaginario americano.

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La fanciulla, soave e sorridente, era una escort e però preferisce definirsi una musa; i suoi clienti infatti li ispirava al punto che erano tutti divenuti dipendenti da lei (la mia droga si chiama Izzy), strana tipa molto seducente convinta del potere del rosa e che ridere fa perdere calorie (come insegna Audrey Hepburn). Una sera Isabelle finisce al Barclay di New York nella stanza di un famoso regista di Broadway, Arnold Albertson ( Owen Wilson bravissimo) che passa insieme a lei tutta la notte, ne resta ammaliato e le regala trentamila dollari per realizzare i suoi sogni facendosi promettere che non si prostituirà più. Le parla degli scoiattoli e di chi va a Central Park a dargli da mangiare. Il caso però è dispettoso, e la prima audizione della ragazza sarà proprio per lo spettacolo di Arnold, sposatissimo con l’attrice protagonista di tutti i suoi lavori naturalmente ignara dei ripetuti tradimenti del marito.

Tra l’audizione che Izzy vince e le prove dello spettacolo fino al suo debutto sarà un intreccio di malintesi e di «sliding doors», di porte di albergo che si aprono e che si chiudono, di ascensori che salgono troppo in fretta, di vendette in scena (siamo pur sempre tra attori), di detective privati appostati tra i grattacieli di Manhattan e i ristoranti italiani dove se una coppia si da appuntamento tutti gli altri arriveranno là. E ancora di ritmo, musicalità delle battute (ovviamente perduta nel doppiaggio italiano), tempi comici  irresistibili. La storia la conosciamo già ma poco importa perché senza supereroi né effetti speciali, Bogdanovich ci incolla alla sedie con riso, emozione, ironia raffinata, un gusto del cinema di pura messinscena, di perfezione lieve e irresistibile.