Circa un mese fa, quando in Arabia Saudita veniva concesso alle donne il permesso di guidare, sui social circolava l’immagine di un’auto coperta da un burqa. Un’allegoria dell’ingabbiamento femminile presente in alcune realtà, come quella di Riad. Ma anche una protesta, altrettanto inequivocabile, nei confronti dei finti progressi compiuti da molte società islamiche, per il compiacimento occidentale.

PERSISTE, infatti, una visione orientalista ispirata alle Mille e una notte, o, nelle versioni occidentali più aggiornate, quella di un monolite imperniato sul dominio maschile, in cui non viene lasciato spazio alla figura femminile. Per fortuna, nei paesi arabi del Mediterraneo, e non solo, molte donne sono in rivolta. L’obiettivo è quello di ricostruire ciò che è stato distrutto dal terrorismo, vale a dire, la struttura intellettuale della società.
«La scrittura è la nostra più grande sfida culturale – afferma Fairouz Recham – attivista e accademica algerina, il cui contributo alla causa femminile è indagato dal filosofo Hamid Zanaz in una delle 19 interviste del volume La nostra rivoluzione. Voci di donne arabe (Elèuthera, pp.136, euro 13).

Con il suo ultimo libro, Honoré par ton départ, pubblicato in Francia nel 2017, Fairouz ha toccato temi sensibili come la malattia e la menomazione femminile nel mondo islamico: «Volevo esprimere tutta la sofferenza, morale e fisica, provata da una donna algerina degli anni ’90, a cui viene asportato un seno a causa del cancro. La mastectomia ha conseguenze psicologiche per ogni donna – dice Fairouz – ancor più complicato nella nostra cultura, che non tollera alcun difetto fisico nella figura femminile, al punto da portare al licenziamento di una donna malata o con handicap fisici. Il suo ruolo è limitato al sesso e alla procreazione. Una donna deve essere giovane, sana e soprattutto vergine. La sua vulnerabilità fisica la sminuisce».

QUESTO GENERE di convinzioni, costringono le donne a una prigionia psicologica, in un contesto che le disprezza. Non solo, rendono loro impossibile compiere veri progressi nella vita di tutti i giorni. Nel libro curato da Zanaz e stando a quanto emerge dalle sue parole, per Fairouz Recham l’ignoranza è il primo e più potente freno per l’emancipazione femminile. «Nonostante le possibilità scolastiche comincino a essere condivise tra maschi e femmine, le bambine rimangono vittime dell’indottrinamento: la scuola non insegna loro come essere libere ma come imparare a cedere».

EVIDENTEMENTE, l’ignoranza di cui parla Fairouz non è solo «assenza di conoscenza», ma anche paura di cercare la verità nascosta dietro lo strapotere maschile, o, in alcuni casi, dietro la maschera degli estremisti religiosi. «La maggioranza preferisce piegarsi ad essa – continua – piuttosto che affrontarla. Anche a rischio di pagarla molto cara. Ecco perché la questione della libertà femminile, nelle società musulmane, non è un lusso, ma una questione di vita e di morte».
Viene da chiedersi, anche, come il fondamentalismo religioso abbia coinvolto le donne. Restringendo la loro libertà, infatti, il terrorismo utilizza le donne e il loro peso nella società per esercitarvi pressioni.

MA C’È UNA DICOTOMIA importante, nella visione maschile delle donne: «L’odio nei loro confronti, che le rende un nemico primario – spiega Fairouz le ha trasformate al tempo stesso nell’oggetto più ambito di desiderio: un aspirante martire, muore sperando di ritrovarsi in Paradiso, circondato da bellissime vergini. È contraddittorio, certo. Ma i musulmani sono sempre stati confusi nelle loro idee sull’Islam; hanno monopolizzato gli interrogativi in merito, in particolare, quelli relativi all’universo femminile. Di questo, ho intenzione di scrivere nel mio prossimo libro».