Agli interventi di esperti e docenti di diritto costituzionale che il manifesto ospita a sostegno del No al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, vorrei aggiungere alcuni argomenti, che derivano dalla mia esperienza politica. L’esperienza di militante prima, di esponente negli organi elettivi locali poi e di senatrice, da ultimo.

Ovviamente, il 20 settembre voterò No: ma non per le ragioni legate alla mancata riforma della legge elettorale (come ha sostenuto Goffredo Bettini su Repubblica, mostrando un politicismo che ignora la gerarchia delle fonti del diritto e quindi dei valori costituzionali).

Avendo fatto il consigliere comunale, di opposizione e di maggioranza, per molti anni e poi la senatrice, so di che parlo quando dico che la rappresentanza democratica è un cardine fondamentale della nostra Repubblica.

Eleggere persone vere, saperle riconoscere per strada, conoscere i loro pensieri e azioni, poterne discernere meriti ed errori, rivolgersi loro per esporre problemi, sofferenze, aspirazioni, interessi e culture. Di tutto questo si nutre una democrazia autentica. Nella mia vita politica ho conosciuto migliaia di donne e uomini che si rivolgevano a me, sapendo chi ero: sono stata applaudita, aiutata e sostenuta molte volte; molte altre criticata e derisa (legittimamente) oltre che insultata e minacciata (meno legittimamente).

Durante il mio mandato parlamentare ho incrociato operai di imprese delocalizzate, donne vittime di violenza, giornalisti intimoriti dalle mafie. Da questo ascolto ho tratto materia per centinaia di atti come proposte di legge, emendamenti, interrogazioni, interventi in Commissione d’inchiesta e quant’altro. Insomma, la rappresentanza parlamentare è molto importante e amputarla brutalmente è profondamente sbagliato perché equivale a ridurre i reali spazi di confronto sociale e i meccanismi democratici.

All’esito del referendum, se vinceranno i Sì, avremmo un indebolimento del Parlamento e un rafforzamento ulteriore del Governo. Già oggi (lo scrivo per esperienza diretta) vi sono Commissioni parlamenta praticamente colonizzate dall’esecutivo.

Le Commissioni Bilancio, per esempio, sono legate al Mef e alla Ragioneria dello Stato in modo tale che i rappresentanti eletti non possono proporre quasi nulla senza il consenso della tecnocrazia ministeriale, la quale non risponde a nessuno se non a se stessa.

Discorso analogo vale per le Commissioni Difesa, militarmente (è il caso di dire!) controllate dall’establishment legato all’industria degli armamenti e presso le quali nessuno si azzarda più a criticare l’Amministrazione della difesa (qualcuno per caso ha visto qualche reazione degna di rilievo sullo scandaloso caso di Piacenza?), o – ad esempio – a proporre tagli alle spese per la difesa perché il Governo non vuole inimicarsi quel mondo (a proposito, che fine ha fatto l’avversione del Movimento 5 stelle agli F35?).

Con 345 parlamentari in meno, le probabilità di avere in Parlamento persone preparate e indipendenti nel giudizio, con la schiena dritta e la voglia di fare seria rappresentanza saranno nettamente minori. I pochi posti rimasti a disposizione saranno appannaggio delle segreterie dei partiti e dei loro finanziatori privati. Rischiamo di avere un Parlamento “sull’attenti” più di quanto già non sia”.

*Senatrice XVII legislatura