Il periodo fra Cinquecento e Seicento, che per certi versi è stato un momento di espansione economica e militare dell’Europa, proiettata alla conquista del Nuovo Mondo e dei mercati dell’Asia, corrisponde a una fase di guerra continua all’interno del continente. La Riforma ruppe l’unità religiosa europea: ma – già molto prima di quella data – il dissenso politico-religioso si era fatto strada. L’adagio reformare reformata («conferire di nuovo la forma corretta a quanto si è deformato») era molto popolare nel medioevo almeno fin dall’XI secolo: e molte furono le riforme tentate, sia dalla gerarchia sia dai fedeli, nel corso dei secoli XI-XV. Ma la situazione di mondanità della Chiesa nel Quattrocento era divenuta insostenibile.

I MOVIMENTI POPOLARI e anche dottrinali di quel secolo (John Wycliff, Jan Hus e altri ancora) erano stati determinati dal disagio dello spettacolo d’una Chiesa corrotta da parte di intellettuali e fedeli che l’avrebbero invece voluta vedere povera, lontana dall’esercizio del potere mondano e della ricchezza, più aderente allo spirito del Vangelo. Tuttavia, sotto e insieme alle istanze di riforma religiosa ve n’erano anche altre di tipo politico.

Nel caso degli Hussiti, il predominio tedesco in Boemia, mal sopportato dalla popolazione andava di pari passo con le proteste religiose. D’altra parte, Jan Hus fu condannato a morte dai padri del Concilio di Basilea che avevano come scopo precipuo proprio la riforma del papato: insomma l’Europa viveva una situazione complessa e assai difficile da districare. Ai primi del Cinquecento, Martin Luther insorse contro la corrotta Chiesa di Roma nel nome della libertà di coscienza, ma con il suo consenso i luterani repressero con durezza e massacri i movimenti religioso-popolari e contadini che avrebbero voluto «l’avvento del Regno dei Cieli sulla terra», inaugurando un nuovo ordine evangelico ed egalitario.

In Francia, l’episodio più celebre delle guerre di religione è la cosiddetta «Notte di San Bartolomeo», fra il 23 e il 24 agosto 1572, quando a Parigi e in altre città francesi migliaia di protestanti vennero assassinati. Nel 1559 un sinodo nazionale calvinista aveva definito i contorni di quella confessione (gli aderenti alla quale assunsero il nome di «ugonotti»), ch’era forte soprattutto nell’aristocrazia ed era vicina anche alla corte.

Dopo alterne vicende una vera e propria guerra civile si concluse con l’ascesa al trono di Enrico di Borbone, capo degli ugonotti, che si convertì al cattolicesimo assicurando ai suoi ex-correligionari le libertà essenziali. A ricostruire queste vicende, note a grandi linee ma assai complesse da comprendere a fondo, arriva il libro di Stefano Tabacchi, La strage di San Bartolomeo. Una notte di sangue a Parigi (Salerno editrice, pp. 154, euro 13).

Scrive Tabacchi: «La notte di San Bartolomeo appartiene alla storia dei massacri compiuti per ragioni religiose, ma non fu solo questo. Ogni sbrigativa assimilazione a episodi di fanatismo religioso più o meno recenti rischia di essere fuorviante, perché sottovaluta la complessità dell’evento. La strage di San Bartolomeo fu infatti un grande evento politico, un improvviso cambio di politica di una monarchia (quella francese) che aveva puntato il suo prestigio e la sua autorevolezza nell’affermazione della concordia tra cattolici e calvinisti, che doveva essere consacrata proprio nel matrimonio (tra la sorella del re Margherita di Valois e il protestante Enrico di Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia) che fu all’origine della strage. E naturalmente fu anche un grande evento di politica internazionale».

LA RICOSTRUZIONE dell’evento e del contesto è certosina e avvincente. Il suo merito, al di là di questo, risiede però in un dato metodologico che sembra quasi invertire l’affermazione di Tabacchi. In realtà, il portato più ampio del libro si coglie nella sua capacità di farci riflettere anche sugli «episodi di fanatismo religioso più o meno recenti», di fronte ai quali ci si domanda se pure non andrebbero trovate le radici politiche complesse, invece di ricorrere a categorie di giudizio (il fanatismo stesso) che non sono le ragioni, quanto meramente gli epifenomeni di quanto accade oggi intorno a noi.