Che l’acqua contenga una sua memoria è un’idea suggestiva che ha avuto un paio di decenni fa anche un suo supporto teorico. Proposto dal medico Jacques Benveniste nel 1988, il concetto di memoria dell’acqua si presentava con risvolti fisici e farmacologici non del tutto condivisi. In sintesi si conferiva all’acqua, meglio se agitata, la possibilità di mantenere un «ricordo» di sostanze con cui è venuta in contatto. Non sono in grado di appurarne la validità scientifica, che a quanto si legge viene abbastanza messa in discussione, ma di certo l’acqua riveste da sempre una forte valenza metaforica e simbolica e ha segnato spesso passaggi significativi della memoria, dell’immaginario e della storia collettivi. Dal biblico diluvio universale alle recenti disastrose alluvioni in Sardegna, i percorsi dell’acqua e quelli delle storie si sono intrecciati da sempre, fra realtà e finzione, ricostruzione e autenticità.

Una piccola testimonianza di portata sensibile è rappresentata dal cortometraggio franco-spagnolo Lettres à la Mer di Renaud Perrin e Julien Telle, presentato in anteprima al Festival dei Popoli (in corso a Firenze fino a domani) dopo una menzione speciale all’ultimo DokLeipzig e un premio per l’animazione a Espinho (Portogallo). Il breve documentario animato, ma forse sarebbe più corretto parlare di illustrazione animata ispirata da un fatto storico, ci rimanda a una vicenda in seguito alla Guerra Civile spagnola.

Lo fa sul filo della memoria storica che segue un rivolo d’acqua, movimentando in successione le macchie che lascia sul suo percorso per stimolare immagini che rievocano scene tragiche e dolorose. Come le nuvole guardate da occhi liberi che prendono le forme dell’immaginazione per proseguire con vita propria, così le ombre umide ed evanescenti ricostruiscono la realtà sull’onda del ricordo e dell’emozione.

Un filo d’acqua prende vita su una superficie pietrosa, sgorga in un buco, una pipa, nel mare. Si divide moltiplicando così i suoi percorsi in terra e sui muri dell’abitato, lasciando il segno e quasi in cerca di qualcosa, qualcuno…finché non appaiono dei personaggi, dei militari, sviluppandosi in scene di battaglia. Dove finisce la realtà fisica dell’acqua in movimento e inizia la ricostruzione e l’invenzione non è definito linearmente, per quanto solida come la pietra le scene sono fluide e fantasmatiche come l’acqua. Finché le didascalie finali non informano con fatti e dati, dando così contorni nitidi all’evocazione. Alla fine della Guerra Civile Spagnola, a largo di Marsiglia stazionarono due navi ospedale cariche di centinaia di feriti provenienti dal fronte e rifugiatisi in Francia. A loro furono indirizzate 300 lettere mai recapitate dalle autorità e poi rinvenute, decine di anni più tardi, negli archivi di Bouches-du-Rhône (Francia). Il destino in particolare di uno spagnolo rifugiatosi a Marsiglia alla fine degli anni ‘30 viene evocato qui in stop-motion. Scatto dopo scatto le macchie d’acqua evanescenti sulla materia concreta, con una tecnica d’animazione che per certi versi ricorda quella murale di Muto dell’artista di strada Blu, suggeriscono un oblio dettato dalle lettere smarrite in mare e mai giunte al destinatario.

I disegni veri e propri sono stati infatti realizzati sui suoli e i muri di Barcellona e Marsiglia, le città di partenza e d’approdo dei rifugiati. La colonna sonora, composta da John Deneuve, è totalmente elettronica, partendo da indecifrabili registrazioni sottomarine di pesci. Ipnotico e ripetitivo, dagli accenti industriali, il suono contemporaneo freddo contrasta per 5’ con la visualizzazione matt.